SE SEI VIVO SPARA - (1967)

Regia/Director: Giulio Questi
Soggetto/Subject: Maria Del Carmen, Martinez Roman
Sceneggiatura/Screenplay: Giulio Questi, Franco Arcalli
Interpreti/Actors: Tomas Milian (Barney), Marilù Tolo, Milo Quesada, Piero Lulli, Miguel Serrano, Paco Sanz, Sancho Gracia, Angel Silva, Raymond Lovelock, Mirella Panphili, Roberto Camardiel, Patrizia Valturri, Daniel Martin, Edoardo De Santis
Fotografia/Photography: Franco Delli Colli
Musica/Music: Ivan Vandor
Scene/Scene Design: José Luis Galicia, Jaime Perez Cubero
Montaggio/Editing: Franco Arcalli
Suono/Sound: Goffredo Salvadori
Produzione/Production: G.I.A. - Società Cinematografica, Hispamer Films, Madrid
Distribuzione/Distribution: Titanus
censura: 48500 del 17-01-1967

È risorto da un fossato col viso impiastricciato di sangue e blatera su dell’oro nascosto. Due indiani lo soccorrono e gli giurano fedeltà: il mezzosangue viene dall’aldilà, sostengono, e vorrebbero farsi raccontare dei verdi pascoli e delle ombre degli avi. Ma Barney (Thomas Milian), il messicano redivivo con la polvere sulla faccia e la parola “oro” sulla lingua, ha visto piuttosto l’inferno che i campi elisi, piombandoci dopo un colpo ad una carovana militare e seguente, discutibile spartizione del bottino: il piombo ai messicani, l’oro agli americani. Ora Barney ha in testa di vendicarsi dei ricchi diavoli e di riappropriarsi della refurtiva, ma per farlo dovrà attraversare un altro marcio confine: quello del poco ospitale villaggio in cui i dritti fuorilegge sono andati a rifocillarsi, in cerca di cavalli, imbattendosi in una cricca di avidi paesani dal grilletto facile. La corsa all’oro continua.

“Se sei vivo, spara” (1967) segna l’originale sortita di Giulio Questi nel mondo del western, col decisivo apporto dell’inseparabile Franco Arcalli (sceneggiatura e montaggio). Regia virile, quella del bergamasco, come mostra il prologo, in cui il recente passato del mezzosangue è rievocato con singhiozzanti flashback che sfarfallano in una luce bianca, fino a farsi più nitidi – e più scottanti – al momento della resa dei conti tra americani e messicani. Iniziato nella polvere e nel sangue, il film prosegue coerentemente entro il medesimo solco, una rotta di putredine ben tracciata soprattutto grazie alla pittoresca caratterizzazione del nido di serpi in cui finiscono i banditi americani, presto raggiunti dal protagonista. Nella cittadina – introdotta da un bel piano sequenza, con la notazione del bambino nudo di spalle e della bimba che pare compresa in qualche sadico gioco – saranno perpetrati i gesti più violenti, brutali barocchismi che costarono al film tagli e problemi con la censura: il polposo scotennamento di un indiano, il semi-svisceramento di un uomo ferito con pallottole d’oro.
“Siete tutti marci”, dirà Milian – e la galleria delle canaglie appare effettivamente allestita con ficcante capacità descrittiva: il tirannello in panciotto che ordisce rapimenti e torture (Robert Camardiel), il Savonarola da strapazzo pronto ad invocare la collera degli onesti ed a stipare l’oro dei disonesti (Francisco Sanz), l’oste che intriga e manipola (Milo Quesada). Al soldo ora dell’uno, ora dell’altro, Barney si ritaglierà pure un romanzetto mordi e fuggi  – nella parte centrale, che registra un lieve cedimento del ritmo – amoreggiando con la moglie del predicatore (Patrizia Valturri), pressoché segregata da anni e ridotta alla semi-infermità mentale solo perché innamorata di un altro. Accennerebbe a fare la femme fatale l’altra donna, quella dell’oste (Marilù Tolo), un angelo merlettato tra i villani, ma di fatale, nello scenario tratteggiato dal film, c’è soprattutto la lotta senza scrupoli, una rapacità profilata con vaghe ambizioni di critiche sociali: velleitarie, invero, per fortuna disperse dal gradevole spettacolo.
Se linciaggi, sparatorie, tradimenti e duelli possono fare più o meno parte del repertorio dello spaghetti western, è indubbio come lo sguardo di Questi riesca a posarsi su situazioni già note con prepotente ed esplicita fisicità: s’insiste sui corpi che penzolano da forche improvvisate, s’azzardano close-up su visi sfigurati dall’ultimo rantolo, non s’indietreggia di fronte alla truculenza di sanguinosi rituali. Alcuni passaggi, poi, sembrano stemperati – o, al contrario, provocatoriamente esacerbati – da talune sottigliezze di macabra ironia: l’avventore che ordina sciroppo di lampone al bancone del saloon, con la macchina da presa che stacca repentinamente sul sangue, o le dita avide che spolpano la carne in tavola nello stesso modo in cui avevano scavato le pallottole d’oro nella carne del bandito ferito.
Efficace nel costruirsi i propri inferni artificiali, popolandoli dell’azione serrata d’una guerra di tutti contro tutti, “Se sei vivo spara” di Giulio Questi si distingue per coloriture ed accentazioni, con un Milian sterminatore di lupi a fare da anti-eroe solitario su cumuli di cadaveri in un tourbillon di rovesciamenti e rilanci.

Recensione a cura di:


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