SALVARE LA FACCIA (1969) di Rossano Brazzi [Edward Ross] - recensione del film


SALVARE LA FACCIA (1969) di Rossano Brazzi 
Mentre il noto imprenditore Brigoli (Rossano Brazzi) inaugura la nuova fabbrica, sogno di una vita, sua figlia (Adrienne La Russa) viene sorpresa in una casa equivoca in compagnia di uno spiantato. E' lo scandalo. Le relazioni col clero e col governo potrebbero uscirne compromesse. Bisogna metter tutto a tacere. Brigoli compra il silenzio del fidanzatino (Nino Castelnuovo) e manda Licia, la figlia, in clinica, insieme ai matti. La strategia è di muovere l'opinione pubblica a commozione: nessuno si azzarderebbe ad attaccare una famiglia colta da una disgrazia per causa di una figlia "malata". Solo una figlia pazza può commettere imprudenze del genere, e l'amico prelato gli dà ragione, appoggiando la decisione: -Una ragazza di così buona famiglia, di sani principi, una ragazza alla quale è stata data un'educazione perfetta, per comportarsi in questo modo non può che essere malata.- La clinica è bianca, asettica, Licia, rinchiusa, impazzisce per davvero, o meglio, impara la lezione: quando viene dimessa si rivela peggiore del padre, sfoggiando gratuita cattiveria. L'hanno voluta matta, quale miglior occasione per dimostrarlo, vendicandosi?
Fa innamorare di sé il marito della sorella maggiore (Alberto De Mendoza), compromettendo gli equilibri famigliari; sostituisce le pellicole di una proiezione al cospetto del vescovo, infilando al posto del film degli operai della fabbrica in pellegrinaggio a Lourdes, dei nastri che ritraggono "l'onorevole" padre spiato in atteggiamenti lascivi; cerca l'ex fidanzatino, quando ormai ha compreso che egli l'aveva usata solo per beneficiare di un proficuo ricatto, e lo costringe a sposarlo, ordinandogli di continuare a ricattare il padre, distruggendone così il patrimonio e piegandolo ai suoi voleri. La rovina è prossima. Licia riesce a creare il vuoto intorno alla propria famiglia, affondandola in un abisso di disonore, collezionando, uno dietro l'altro, crudeli e mirati scandali per chiunque. L'amico candidato ministro che, se fosse entrato in governo avrebbe costruito un'autostrada in terreni su cui Brigoli aveva intenzione di speculare, viene cacciato "dal partito" poiché macchiato da disonorevoli frequentazioni, e così via.
Chi soccomberà, chi morirà e chi resterà, affranto, a chiedersi il motivo di cotanta rovina. La risposta è implicita. Brignoli dovrebbe esser orgoglioso della figlia, per la grande opera distruttiva da lei ideata e praticata, dimostrando di "aver imparato la lezione", ed esser così divenuta degna di portare il cognome dell'uomo abbietto, arrivista e senza scrupoli che l'ha educata. Ecco infatti che nel finale rimangono lei e il "povero" padre, soli, come in una cena romantica, a tu per tu, e a poco a poco, mentre la cinepresa arretra, isolandoli nell'inutile lusso di una villa ormai vuota, la luce si abbassa fino a spegnersi, come un sipario che cala. Verrebbe da dire: chi è causa del suo male pianga sé stesso. Licia avrebbe potuto salvarsi, esser libera, invece no, è stata costretta, per smania di possesso, a farsi immagine e somiglianza di un mondo negativo, lo stesso che la giudicava. -Non sono mica la prima ad andare a letto con un uomo! Quindi cosa c'è di tanto grave, di tremendo?-, chiedeva prima di finire in clinica.

Adrienne La Russa - Salvare la faccia (1969)
Rossano Brazzi dirige sé stesso, senza pietà, ma firmandosi nei titoli di testa come Edward Ross. Costruisce una storia malata che vuol essere tesi critica dell'inevitabilità del male; un male ipocrita, assecondato e appoggiato dalle istituzioni, nascosto dietro una facciata "da salvare" per poter sopravvivere nell'ipocrisia. All'industriale Brigoli non sta bene che la figlia faccia l'amore con un poveraccio del popolino, anche se innamorata, perché sarebbe meglio se pensasse al bene e all'immagine della famiglia (e perciò della società, si legge tra le righe), contribuendo ad arricchirla; magari sempre disonestamente, ma in maniera pulita, lecita. -La ricchezza e il potere vanno salvaguardati ad ogni costo!-, è l'imperioso ammonimento del padre. Così aveva fatto a suo tempo la sorella maggiore di Licia (Paola Pitagora), sposando un uomo conveniente, vincolati dall'interesse.
Pensato come un prodotto "cattivo", sulla società e sulla famiglia che implodono per corruzione propria, come insegnava all'epoca Samperi coi suoi GRAZIE ZIA e CUORE DI MAMMA, gli si potrebbe contestare la pecca di perdersi in una forse voluta eccessiva malignità del tutto puerile e affatto raffinata, riscontrabile in momenti noir ma kitsch, in cui Licia lascia cadere la spina di corrente nell'acqua della piscina mentre sorella e cognato fanno il bagno, o quando la pistola viene fissata con uno spago, puntata su un uomo narcotizzato, pronta a sparare all'aprirsi della porta, assomigliando più a una certa esasperata crudeltà diabolica da fumetto nero, da thriller, alla ORGASMO di Lenzi. Nel cinema artistico contestatario dell'epoca il confine tra lo scandalo costruttivo e lo shock gratuito è debole, e a volte metteva in discussione l'impegno autoriale. Ma stiamo parlando di un cinema cattivo, arrabbiato, perciò nel calderone tutto diventa lecito. Un cinema del quale ci si innamora grazie ai risultati tecnici e artistici, alle colonne sonore e alle scenografie pop.
Come direttore di produzione, nei titoli di coda, si legge Renato Polselli, e ciò spiega molte cose. Alla sceneggiatura c'è invece anche Biagio Proietti, futuro co-autore del BLACK CAT di Fulci e di numerosi notevoli sceneggiati televisivi, tra i quali DOV'E' ANNA? e lL FILO E IL LABIRINTO.
Si contestava, si faceva politica in ogni genere cinematografico, dal western al comico, passando per l'erotico. Andava di moda, soprattutto nei gialli dell'epoca, intraprendere scaltri giochetti per far impazzire le vittime, chiudendole in manicomi, eliminandole "legalmente", o addirittura fisicamente, per conquistare eredità, impossibili amanti, o per distruggere il sistema - "il sistema" stesso che insegnava agli eleganti criminali i trucchetti per farlo. Per questo non c'era pietà, e perdevano o morivano sempre tutti.
Al di là degli intenti, regna Adrienne La Russa (che di lì a poco, prima di tornare in America, interpreterà la BEATRICE CENCI di Fulci), bellissima, che buca lo schermo. SALVARE LA FACCIA è illuminato con una lieve calda e malinconica luce dei tramonti, color miele (fotografia di Luciano Trasatti), che restituisce una intensa fotografia sul volto fintamente angelico della sua appena ventenne protagonista.
Pochi anni dopo, un altro grande divo del cinema della generazione di Brazzi interpreterà un altro padre inerte di fronte a una giovane figlia ribelle: Massimo Girotti in IL MIO CORPO CON RABBIA, spaesato al cospetto di Antonia Santilli.
La versione estera presenta scene un po' più spinte, e alcune sequenze montate differentemente.
Il film è uscito in dvd per la CineKult (clicca qui per maggiori dettagli )

Regia: Rossano Brazzi [Edward Ross]; Soggetto: Oscar Brazzi; Sceneggiatura: Biagio Proietti, Diana Crispo; Interpreti: Adrienne La Russa (Licia Brignoli), Nino Castelnuovo (Mario), Alberto De Mendoza (Francesco), Idelma Carlo (Laura), Nerio Bernardi (cameriere dei Brignoli), Marcello Bonini (monsignore), Valentino Macchi (invitato festa hippy), Renzo Petretto, Nestor Garay, Julia Tanzi, Jorge Guillermo Contini, Rossano Brazzi (Marco Brignoli), Paola Pitagora (Giovanna Brignoli); Fotografia: Luciano Trasatti; Musica: Benedetto Ghiglia; Costumi: Francesco Della Noce, Angelo Litrico; Scenografia: Giovanni Fratalocchi; Montaggio: Amedeo Giomini; Suono: Alessandro Fortini; Produzione: Banco Film, Chiara Films Internazionali, Glori Art, Buenos Aires; Distribuzione: Indipendenti Regionali; censura: 53183 del 08-02-1969

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