PINOCCHIO (2002)

Regia/Director: Roberto Benigni
Soggetto/Subject: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami
Sceneggiatura/Screenplay: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami
Interpreti/Actors: Nicoletta Braschi (Fatina Turchina), Roberto Benigni (Pinocchio), Mino Bellei (Medoro), Carlo Giuffrè (Geppetto), Beppe Barra (Grillo Parlante), Franco Javarone (Mangiafuoco), Max (Fichi d'India) Cavallari (Il Gatto), Bruno Arena (La Volpe), Corrado Pani (Giudice), Kim Rossi Stuart (Lucignolo), Luis Molteni (Omino di burro), Alessandro Bergonzoni (Direttore del circo), Tommaso Bianco (Pulcinella), Giovanni Febraro (giudice), Franco Mescolini (Pantalone), Giorgio Ariani (oste Gambero Rosso), Giorgio Noè (ragazzo), Stefano Onofri (Arlecchino), Alfredo Cavazzoni (carabiniere), Vincenzo Bonanno (carabiniere), Maco Tullio Cau (carabiniere), Michele Mazzanti (carabiniere), Claudio Bellanti (fruttivendolo), Massimo Bianchi (vinaio), Giuliano Ghiselli (uomo in giacca da camera), Fausto Marchini (venditore ambulante), Valerio Ceccarelli (studente), Silvia Floridi (Rosaura), Donato Castellaneta (primo medico), Lamberto Consani (secondo medico), Camillo Grassi (secondino), Luigi Delli (pescatore), Paola Braschi De Giovanni (signora con le brocche), Riccardo Bizzarri (Eugenio), Giacomo Gonnella (appuntato), Totò Onnis (gendarme 1), Danilo Nigrelli (gendarme 2), Dario Magi (brigadiere), Sandro Dori (contadino vigna), Remo Masini (maestro), Mario Orfei (ragazzo), Dodo Oltrecolli (ragazzo), Francesco Guzzo (ragazzo), Max Galliani (ragazzo), Stefano Scandaletti (ragazzo), Vincenzo Cerami (uomo con i baffi), Franco Casaglieri (uomo con pelliccia), Andrea Nardi (contadino Giangio), Giorgio Fabbio (ragazzo), Michele Manuzzi (ragazzo)
Fotografia/Photography: Dante Spinotti
Musica/Music: Nicola Piovani
Costumi/Costume Design: Danilo Donati
Scene/Scene Design: Danilo Donati
Montaggio/Editing: Simona Paggi
Produzione/Production: Melampo Cinematografica
Distribuzione/Distribution: Medusa Film S.p.A.
Vendite all'estero/Sales abroad: Miramax International
censura: 96593 del 08-10-2002

Benigni riprende un vecchio progetto felliniano, pensato ai tempi de La voce della luna, impiega capitali maggiori di quanti ne servivano per i film del Maestro (45 milioni di euro, il lavoro più costoso del cinema italiano) e gira la sua versione di Pinocchio. La storia è liberamente ispirata al capolavoro di Collodi, ma Benigni e Cerami ci mettono ingegno e inventiva per modificare il soggetto in funzione cinematografica. Luigi Comencini nella sua straordinaria versione televisiva (1972) - ridotta per il cinema - aveva fatto altrettanto, attirandosi critiche pretestuose. Benigni viene criticato anche per non aver messo sui manifesti il nome di Carlo Collodi; la critica non è tenera nei confronti del suo lavoro che giunge dopo il successo internazionale de La vita è bella (1997), viene stigmatizzata una mancanza di sentimento nella recitazione degli attori. Pinocchio incassa discretamente soltanto in Italia, nel resto del mondo è un flop, addirittura negli Stati Uniti (Roberto Benigni’s Pinocchio, è il titolo del film doppiato in inglese) viene nominato per 6 Razzie Awards (gli Oscar al contrario) e vince il non ambito premio come peggior attore protagonista. Alla resa dei conti Pinocchio incassa il denaro appena sufficiente per coprire i costi di produzione.

Il Pinocchio di Benigni e Cerami è molto felliniano, come scenografie, fotografie e tono fantastico della storia. Persino la recitazione non così partecipe - del tutto opposta a ciò che aveva voluto Comencini - ricorda l’impostazione teorica del Maestro. Il film è girato nei Cinecittà Umbria Studios di Papignano (Terni), gode di grandi effetti speciali (il pescecane, la farfalla, il Grillo Parlante, Mangiafuoco, il Teatro dei Burattini, il Circo, il Paese dei Balocchi…) e di una ricostruzione scenografica senza pari, del tutto simile a quel che richiedeva Fellini quando girava a Cinecittà. Ventotto settimane di riprese non è poca cosa, logico che tutti si attendessero un capolavoro, mentre Benigni si limita a realizzare un prodotto coerente e dignitoso. Straordinaria la colonna sonora di Nicola Piovani (Nastro d’Argento), mirabile la fotografia coloratissima - da cartone animato - di Dante Spinotti che conferisce un tono favolistico (la scena dell’impiccagione di Pinocchio con la luna sullo sfondo è un capolavoro).
Il Pinocchio di Benigni e Cerami presenta originali trovate di sceneggiatura che danno un tocco di poesia alla pellicola. Si pensi al fantastico incipit che vede la Fata Turchina a bordo di una carrozza guidata da Medoro e tirata da topini bianchi fermarsi per strada, accogliere una farfalla e dire: “La morte dura troppo a lungo. Come sarebbe bello morire un solo giorno per poi vivere felici!”. La Fata Turchina illumina il villaggio con un sole irreale e una pioggia di colori da fiaba per dare il via al film con un tronco di legno parlante che rotola per le strade del paese e raggiunge casa di Geppetto. Il Grillo Parlante è onnipresente, molto di più che nel romanzo, sostituisce persino uno dei medici che fanno la diagnosi per la malattia di Pinocchio, lo vediamo pure al campo dei Miracoli e nel Paese dei Balocchi. Lucignolo (un convincente Kim Rossi Stuart) mangia lecca-lecca al mandarino e incontra Pinocchio in galera, ma nella sostanza il suo ruolo è rispettato. Il dialogo tra Geppetto e Pinocchio all’interno del pescecane è innovativo, ma non stona con il senso della storia e con il motivo portante dell’amore paterno. Inutile stare a fare l’elenco di tutti i cambiamenti tra romanzo e film, ché si tratta di due linguaggi diversi, non paragonabili, non va pretesa fedeltà estrema alla narrazione, ma soltanto che non venga tradito lo spirito dell’opera. Benigni rispetta Collodi, presenza onnipresente anche se non indicata sui manifesti. La morale resta la stessa: Pinocchio è il simbolo del bambino che riesce a dare un senso alla sua vita, dopo un’infanzia e un’adolescenza sfrenata. Roberto Benigni è un Pinocchio lunare, irrequieto, un burattino vivente, ben calato nel ruolo, nonostante le molte critiche ricevute e il triste Oscar al contrario. Presenze simboliche tra gli attori: Giorgio Ariani - lo ricordiamo per un Pierino toscano - nei panni dell’oste del Gambero Rosso; Cavallari e Arena (I Fichi d’India) sono il Gatto e la Volpe ma fanno rimpiangere Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; Nicoletta Braschi è un’ottima Fata, ma la critica la distrugge come fece con Gina Lollobrigida. Carlo Giuffrè è un buon Geppetto, anche se Nino Manfredi conferiva al padre di Pinocchio ben altro spessore. Corrado Pani - come Giuffré -  interpreta il suo ultimo ruolo cinematografico nei panni del Giudice del paese di Acchiappacitrulli. Notevoli gli effetti speciali: dal naso allungabile di Pinocchio ai conigli neri, passando per la tomba della fatina, il mare nero in burrasca e la trasformazione dei ragazzi in asini al Paese dei Balocchi. Affreschi di campagne umbre che sembrano quadri naif mentre Pinocchio corre senza sosta e la macchina da presa lo segue in lunghi carrelli e panoramiche. Geniale il finale con Pinocchio che diventa un ragazzo ed entra a scuola, mentre l’ombra del monello che è stato resta fuori e insegue la farfalla (che ha aperto il film) nelle campagne circostanti. Un film onirico, fantastico, surreale, una fiaba coloratissima che appassiona grandi e piccini. Inspiegabile l’insuccesso statunitense, in parte colpa di un doppiaggio sbagliato. In Italia la critica non è stata tenera, come spesso capita a un regista insignito di un Oscar. La tigre e la neve (2005), ultimo tentativo del Benigni regista è andato pure peggio, con la critica statunitense unanime nel giudicarlo il peggior film della stagione. Roberto Benigni - deluso anche economicamente - non impugna la macchina da presa da ben dieci anni per dedicarsi anima e corpo a interessanti progetti teatrali e televisivi.

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