TERMINI GENERI POPOLARI E GENERI INTELLETTUALI IN RELAZIONE AL CINEMA ITALIANO. APPUNTI SULLA TERMINOLOGIA CINEMATOGRAFICA - di Jan Švábenický
Con
questo saggio vorrei spiegare il mio approccio all’uso di alcuni termini usati
in ambito cinematografico italiano, nel tentativo di evidenziare la differenza
tra cinema popolare ed intellettuale. Ho deciso di scrivere
quanto segue anche perché molti mi chiedono delucidazioni in merito al loro
esatto uso. Succede spesso che questi termini vengano corretti, riscritti o
totalmente rimossi cercando di dividere i sostantivi dagli aggettivi. Si tratta
anzitutto di termini come: genere
popolare, cinema popolare, genere intelettuale e cinema intelettuale. L’uso legittimo di
questa terminologia lo troviamo applicabile quando vogliamo definire diversi
tipi e modelli di cinema focalizzando la nostra attenzione su due aspetti
principali, ovvero: 1.) sull’uso del linguaggio cinematografico specifico, e
2.) dal punto di vista dell’industria cinematografica nel senso di
categorizzazione dei film per un certo tipo di pubblico. Nel caso
dell’aggettivo popolare, restando nell’ambito della cinefilia (intesa
come ammirazione del cinema da parte degli spettatori, appassionati, o
collezionisti) si tratta di un termine ad uso esclusivamente sociologico ed
identificativo.
Per portare un esempio, lo storico e
ricercatore di cinema Gian Piero Brunetta[1]1
(solo per citarne uno) usa i termini genere
popolare o cinema popolare per
indicare, differenziare e categorizzare due tipi di cinema concepiti ad uso e
consumo della cultura nel periodo moderno e post-moderno. Per una migliore chiarificazione del concetto porterò
alcuni esempi concreti. Termini identificativi
come cinema popolare e genere popolare rappresentano parte
integrante della storiografia e del giornalismo cinematografico in uso in
Italia già dagli anni Trenta. Renato Giani[2]2
, in un articolo dal titolo Il cinema
popolare scritto nel 1939 sulla rivista “Cinema” esamina i vari modelli di
generi popolari contestualizzandoli all’interno dell’ industria cinematografica
italiana degli anni Trenta. Sempre per la stessa rivista, in un saggio del 1956
dal titolo Del cinema commerciale e di
quello cosiddetto popolare, Carlo Sannita[3]3
esamina il rapporto che intercorre tra la fruizione dei generi cinematografici
e il pubblico italiano.
Delle monografie degli anni Settanta
possiamo menzionare Roberto Amoroso, Il cinema popolare italiano negli anni '50 di
Mario Franco[4]4
o Neorealismo d'appendice, Per un
dibattito sul cinema popolare. Il caso Matarazzo di Adriano Aprà e Claudio
Carabba[5]5. Ad esclusione del Brunetta, questi termini vengono
usati, nella stessa modalità dagli storici e saggisti italiani di cinema
menzionati fino ad ora. Stefano Della Casa[6]6
nel suo libro Storia e storie di cinema
popolare italiano dal 2001 con questi termini indica quel cinema destinato
ad un pubblico di massa. Il rapporto tra cultura popolare e cinema popolare
viene esaminato a livello storiografico da Paola Valentini[7]7
nel suo libro La scena rubata. Il cinema
italiano e lo spettacolo popolare (1924-1954) dal 2002. Mentre le
connotazioni socioculturali tra generi popolari, pubblico e industria
cinematografica italiana sono analizzate da Giacomo Manzoli[8]8
in Da Ercole a Fantozzi. Cinema popolare
e società italiana dal boom economico alla neotelevisione (1958-1976).
Mentre
in ambito giornalistico e di critica cinematografica spesso vi è un uso
improprio della terminologia, come per esempio l’utilizzo di espressioni tipo cinema d'arte o cinema commerciale, perché in tale circostanza il cinema è
identificato esclusivamente come spettacolo di intrattenimento socioculturale. Anche il termine cinema
di genere non è propriamente corretto a mio parere, perché tutti i film
hanno una struttura di genere senza alcuna differenzazione. I generi sono elementi fondamentali per qualsiasi
tipo e modello di cinema. In questo caso dipende dal linguaggio cinematografico
con cui il film si rivolge al pubblico. Per
questa ragione uso termini in opposizione tra di loro tra di loro quali generi popolari e generi intelettuali. Per esempio anche i film di Michelangelo
Antonioni, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Elio Petri, solo per citarne
alcuni, hanno strutture di genere, sono drammi
psicologici o storici di costume o (in caso di Petri) polizieschi politizzicati
ecc. Quindi non esiste opposizione tra cinema
d'arte e cinema di genere, e ogni
categorizzazione è assolutamente sbagliata, perché di genere sono tutti i film
e l’aggettivo d'arte è un termine
molto soggettivo che non dice niente di concreto sul cinema in generale. È
soltanto una preferenza soggettiva e personale di certi gruppi dei spettatori e
critici che preferiscono identificare soltanto una parte di ciò che a loro
piace. Anche il termine cinema commerciale è incorretto, perché ogni film che nasce dall’
industria cinematografica ha bisogno di fonti economiche per sostenere i costi
di produzione e distribuzione e sempre di commercio si tratta anche nel caso
del cinema di Antonioni, Visconti, Pasolini, Petri ecc.
Dipende sempre dal criterio con cui
vengono scelti in ambito di linguaggio cinematografico i termini d'espressione
che servono a determinare la differenzazione tra generi popolari e generi
intelettuali. Per citare esempi concreti, possiamo menzionare alcuni
capitoli presi dai libri storiografici di Gian Piero Brunetta dove usa termini quali generi popolari o cinema
popolare per riferirsi al cinema fruito dal pubblico di massa. Per esempio,
sia nel capitolo I generi popolari tra
realismo e «fantasy» dal libro Cent'anni
di cinema italiano del 1991[9]9
che nel sottocapitolo Tramonto dei generi
popolari dal libro Il cinema italiano
contemporaneo da La dolce vita a Centochiodi del 2007[10]10
i generi popolari vengono descritti e
definiti come categoria specifica dal punto di vista socioculturale e
sociologico in relazione a pubblico di massa. Dal punto di vista economico il
cinema è un sistema fortemente organizzato a livello industriale, che permette
di coprire con i suoi prodotti sia il mercato domestico che quello
internazionale.
Produzione e distribuzione sono i
principi fondamentali per far funzionare effettivamente il cinema, quindi
secondo me è molto sbagliato parlare con termini in opposizione tra loro quali cinema d'autore – cinema commerciale o di
genere, perché si tratta soltanto di etichette soggettive usate dalla
critica cinematografica. I generi in quanto tali
sono stati importanti fin dalla nascita del cinema come ricorda il produttore
Manolo Bolognini nell’intervista con sua figlia Carlotta riportata nel libro Manolo Bolognini. La mia vita nel cinema.
Cinquant'anni di ricordi raccolti da Carlotta Bolognini.[11]11
Per quanto riguarda i termini usati per definire i vari dei generi popolari
dobbiamo menzionare anche la terminologia angloamericana che spesso usa
definizioni vaghe e poco chiare, semplificando e generalizzando molto i
contenuti socioculturali del cinema. Per esempio
il termine B movie, che ha origine
nel periodo intorno agli anni 30 negli Stati Uniti, stava a indicare la
scaletta di programmazione dei film nelle sale cinematografiche.
Di questo fraintendimento ne parla
nei suoi libri e lavori accademici di cinema lo storico e teorico americano
Rick Altman.[12]12
Quindi il termine B movie non indica
una valutazione critica ed estetica dei film singoli ma semplicemente l’ordine di proiezione degli stessi: primo
film (A movie) e secondo film (B movie). Negli anni cinquanta sulle pagine
della rivista francese Cahiers du cinéma i
critici usavano la definizione B movie
per dare una valutazione estetica al film, ma come già detto l’uso di questo
termine è improprio, perché così facendo si da una valutazione soggettiva e non
oggettiva quando ci si approccia allo studio storico e tecnologico del cinema.
Stesso problema si riscontra quando si usano altri termini angloamericani quali
exploitation, splatter, slasher, snuff
movie, grindhouse, gore, sleazy
cinema, trash, cinema bis, kitsch (originariamente
dalla parola tedesca) ecc. , perché non si tratta di termini universalmente
accettati e applicabili allo studio della storia del cinema come disciplina
accademica e socioculturale, ma delle etichette soggettive ed in alcuni casi
peggiorative usate e create dalla critica giornalistica.
Come esempio si possono
prendere tutti i film western girati e
prodotti in Italia dalla metà degli anni 60 in poi. In questo caso la critica e
il giornalismo americano coniarono un’apposita etichetta, che in origine aveva
un’accettazione dispregiativa, definendoli spaghetti-western.
In realtà, questa etichetta ha soltanto (oltre al senso negativo dato in
origine dalla critica) un’importanza economica, perché è funzionale all’uso che
ne fanno i cinefili ed i collezionisti per individuare i film appartenenti a
questo sottogenere. Invece una definizione più
idonea per identificare i film western girati in Italia, è western all'italiana, che comprende il collegamento tra il genere
(western) e l’origine nazionale (è stato concepito come spettacolo italiano;
prodotto da italiani; girato da italiani; e distribuito da italiani). Il
termine all'italiana racchiude al suo
interno anche l’approccio socioculturale che aveva il cinema italiano nel
concepire i western di sua produzione, che quasi nulla avevano in comune con i western all’americana (termine usato dal
regista e sceneggiatore Ernesto Gastaldi per identificare western di estrazione
hollywoodiana[13]13).
Perché se in quest’ultimi la storia si sviluppa nella maggior parte dei casi in
quella che fu l’epopea della conquista del far-West, nei western all’italiana metaforicamente si affrontano problemi
sociopolitici e di carattere più universale che hanno portato a scaturire delle
riflessioni anche sulla storia contemporanea di Italia, Europa, Terzo Mondo e
paesi dell’America del sud.
Questo
saggio non è un attacco personale ai critici ed addetti ai lavori che usano
questi e molti altri termini in ambito giornalistico. Capisco
l’uso di queste etichette, ma non ne condivido l’approccio, perché le vedo come
semplificazioni di eventi e fatti socioculturali strettamente collegati con il
periodo storico in cui sono stati concepiti, e non tengono conto dello sviluppo
e la trasformazione del cinema popolare
italiano e dei suoi generi.
Note:
[1]1
BRUNETTA, Gian Piero. Splendori e
miserie dei generi. Tramonto dei generi popolari. In Il cinema italiano contemporaneo da La dolce vita a centochiodi. 1.
ed. GLF Editori Laterza : Roma, 2007, pp. 384-433. ISBN 978-88-420-8374-0.
[2]2 GIANI, Renato. Il
cinema popolare. In Cinema, 1939, v.
IV, n. 69, 10 mag. 1939, pp. 292-293.
[3]3 SANNITA, Carlo. Del
cinema commerciale e di quello cosiddetto popolare. In Cinema, 1956, IX, n.158, 10 gen. 1956, pp. 1088-1089.
[4]4 FRANCO, Mario (a
cura di). Roberto Amoroso. Il cinema
popolare italiano negli anni '50. 1. ed. Cineteca Altro : Napoli, 1976.
[5]5 APRÀ, Adriano –
CARABBA, Claudio. Neorealismo
d'appendice. Per un dibattito sul cinema popolare. Il caso Matarazzo. 1.
ed. Guaraldi : Rimini, 1976.
[6]6 DELLA CASA,
Stefano. Storia e storie del cinema
popolare italiano. 1. ed. La stampa : Torino, 2001. ISBN 88-7783-134-0.
[7]7 VALENTINI, Paola. La scena rubata. Il cinema italiano e lo
spettacolo popolare (1924-1954).1. ed. V&P strumenti : Milano, 2002.
ISBN 88-343-0949-9.
[8]8 MANZOLI, Giacomo. Da Ercole a Fantozzi. Cinema popolare e
società italiana dal boom economico alla neotelevisione (1958-1976). 1. ed.
Carocci : Roma, 2012. ISBN 978-88-430-4863-2.
[9]9 BRUNETTA, Gian
Piero. I generi popolari tra realismo e «fantasy». In Cent'anni di cinema italiano. 1. ed. Editori Laterza : Roma, 1991,
pp. 406-429. ISBN 88-420-3851-2.
[10]10 BRUNETTA, Gian
Piero. Splendori e miserie dei generi. Tramonto dei generi popolari. In Il cinema italiano contemporaneo da La dolce
vita a Centochiodi. 1. ed. GLF Editori Laterza : Roma, 2007, pp. 384-433.
ISBN 978-88-420-8374-0.
[11]11 BOLOGNINI,
Carlotta. Manolo Bolognini. La mia vita
nel cinema. Cinquant'anni di ricordi raccolti da Carlotta Bolognini. 1. ed.
Centro Mauro Bolognini / Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia :
Pistoia / Pescia, 2014.
[12]12 ALTMAN, Rick. Film/Genre. 1. ed. V&P università :
Milano, 2004. ISBN 88-343-1047-0. (Traduzione di Antonella Santambrogio.
Introduzione di Francesco Casetti e Ruggero Eugeni).
[13]13 ŠVÁBENICKÝ,
Jan. Seconda parte. Intervista con Ernesto Gastaldi. In Aldo Lado & Ernesto Gastaldi. Due cineasti, due interviste.
Esperienze di cinema italiano raccontate da due protagonisti. 1. ed.
Edizioni Il Foglio : Piombino, 2014, pp. 109. ISBN: 978-88-7606-528-6.
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