Regia/Director: Amasi Damiani
Soggetto/Subject: A. Damiani, Alberto Damiani
Sceneggiatura/Screenplay: Piero Regnoli, Luigi Esposito
Interpreti/Actors: Erika Blanc (Eleonora Santoro), Aldo Reggiani (Riccardo Santoro), Pia Giancaro (Pia Angela Santoro), Anna Zinnemann (Annalisa Santoro), Andrea Aureli (Rodolfo Santoro), Lida Ferro (Zia), Piero Mazzinghi (Carlo Santoro), Swailand Allison, Patrizia Costa, Giovanna D'Albore, Galliano Sbarra, Mario Bertini, London (cane)
Fotografia/Photography: Angelo Baistrocchi
Musica/Music: Nedo Benvenuti
Costumi/Costume Design: Gianfrancesco Fantacci, Laura Ravagnani
Scene/Scene Design: Gianfrancesco Fantacci, Laura Ravagnani
Montaggio/Editing: Maria Schettino
Suono/Sound: Alessandro Sarandrea
Produzione/Production: Cineal
Distribuzione/Distribution: Indipendenti Regionali
censura: 67913 del 23-02-1976
La nobile famiglia dei Mancuso, ricchi possidenti terrieri annidati in una bellissima villa di campagna, nasconde dietro la patina del benessere una squallida condotta amorale che la condurrà alla decadenza. Una delle mogli tradisce il marito impotente con la cameriera di turno, lasciando il consorte nella disperazione che lo porterà al suicidio; il mandrillo che da anni consuma rapporti sessuali con tutte le donne del vicinato nonostante la presenza della moglie, è colto da malore mentre tenta di violentare una povera contadina; la moglie di costui è costretta a consolarsi col figliastro, ma ciò provoca la rottura del matrimonio di quest'ultimo con la candida sposina novella, che abbandonerà la villa. A dirigere le fila delle scabrose trame c'è l'arcigna anziana capofamiglia cui tutti obbediscono senza batter ciglio. "Questa non è una famiglia, è un'orrida farsa comandata da un mostro che gioca con le vite umane senza alcuna pietà. Fingete di condannarla, in realtà siete solo dei piccoli servi senza anima!" dirà la sposina in fuga. La rabbia del giovane abbandonato gli farà scaturire finalmente il coraggio per ribellarsi e colpire a morte in un impeto d'ira la perfida capofamiglia. Di tradimento in suicidio, di abbandono in omicidio, la famiglia Mancuso è tristemente decimata, ma qualcuno ha già preso il posto della vecchia dittatrice ed è pronto nuovamente a dirigere le fila.
Sembra una commedia ma in realtà la storia è tragica. La linea di confine tra i generi è sottile a causa di alcuni momenti di comicità involontaria, come la conversazione dell'anziana capofamiglia che mette in guardia il cognato a riguardo dell'omosessualità di sua figlia, o il suicidio dello stesso, preso atto dell'inevitabile infelicità, che decide di buttarsi in un fiume; la cinepresa lo scruta mentre contempla l'acqua, poi l'inquadratura si sposta su un albero e si ode fuori campo il rumore di qualcosa che sprofonda. Risibile anche l'anziano mandrillo di famiglia, colto da infarto e costretto su una sedia a rotelle, improvvisamente trasformato con capelli bianchi e perdita della parola. C'era chiaramente negli intenti degli autori di costruire un racconto della disgregazione di una famiglia-bene, incentrato sul sesso, tentando di calcare le tracce dei maggiori successi di quegli anni, i cui massimi esponenti erano gli "iniziatori" GRAZIE ZIA e MALIZIA entrambi di Samperi, che fecero scuola e generarono vari altri sottofiloni tra il serio e la commedia sexy (CUGINI CARNALI, IL VIZIO DI FAMIGLIA, PECCATI IN FAMIGLIA, GRAZIE… NONNA e molti altri). Qui abbiamo un po' tutti i topos classici del genere in un solo film: l'omosessualità femminile, l'incesto e il tradimento, ma manca la grazia di autori e di un regista che sappiano gestire elegantemente la commistione. La quasi totalità di inquadrature fisse e prolungate dimostra una certa rigidità espressiva cui lo spettatore è costretto a sottostare se vuole arrivare fino in fondo. Il montaggio è esageratamente lento, quasi che le scene fossero state montate senza tagli, direttamente dal ciac: in un esterno assolato in inquadratura fissa, un attore si vede arrivare da lontano, avanzare lentamente e poi uscire di campo con l'ombra della cinepresa riflessa sul corpo. Qualche slancio di ricerca poetica traspare qua e là, in monologhi riflessivi montati su carrellate sulla natura e scorci di paesaggio che vorrebbero, con armonia panica, far da contrasto ai turbolenti animi umani, ma appaiono più che altro appiccicati in un contrasto alquanto rozzo con il clima generale. Subito dopo i titoli di testa si assiste alla riunione a tavola, luogo emblematico della drammaturgia di tutti i tempi, non solo cinematografica: luogo deputato al confronto tra varia umanità; al termine della preghiera, tutti in piedi intorno al tavolo, "Date Signore la vostra santa benedizione a noi e al cibo che ora prenderemo, per mantenerci nel vostro santo servizio", situazione del tutto ironica e volutamente condita di cinismo, si aprono le danze che porteranno allo sfascio i "benedetti" famigliari. Sarà mostrato un altro pranzo, in fondo al film, senza preghiera e con i componenti della famiglia decimati.
Per "amanite" si dovrebbe intendere l'insetto noto per divorare il maschio durante l'accoppiamento. Non è chiaro il riferimento che il titolo vorrebbe avere con gli accadimenti narrati né con i personaggi, se non forse, ma con molta fantasiosa immaginazione, con il concetto stesso di famiglia, che qui si auto-divora, annientandosi. Però il termine corretto per definire l'insetto è "mantide". Erika Blanc, probabilmente la migliore attrice dell'intero cast, nonostante appaia come primo nome nei titoli di testa, non ha un ruolo così predominante, e se ne perdono spesso le tracce. Cosa c'è da salvare in definitiva nel film? Il valore storico, qualche inquadratura in esterno accompagnata dalla malinconica colonna sonora, e, non essendo poi così famoso, la visione da parte dei nostalgici appassionati che lo scopriranno viaggiando nei meandri delle infinite produzioni italiane anni 60-70.
Commenti