UOMINI CONTRO (1970)


Regia/Director: Francesco Rosi
Soggetto/Subject: opera
Sceneggiatura/Screenplay: Antonio Guerra, Raffaele La Capria, F. Rosi
Interpreti/Actors: Mark Frechette (s.ten Sassu), Alain Cuny (gen. Leone), Gian Maria Volonté (ten. Ottolenghi), Giampiero Albertini (cap. Abbati), Pier Paolo Capponi (ten. Santini), Franco Graziosi (magg. Ruggero Malchiodi), Mario Feliciani (col. medico), Alberto Mastino (soldato Marrasi), Brunetto Del Vita (col. Stringari), Nino Vingelli (napoletano ferito), Daria Nicolodi (crocerossina), Luigi Pignatelli (ten. Avellini), Francesco D'Adda (ufficiale medico), Zdravko Smojver, Antonio Pavan, Emilio Bonucci, Gianni Pulone, Franca Sciutto, Francesco Acampora, Spartaco Conversi, Mario Pischiutta, Maurizio Mastino
Fotografia/Photography: Pasqualino De Santis
Musica/Music: Piero Piccioni
Costumi/Costume Design: Franco Carretti, Gabriella Pescucci
Scene/Scene Design: Andrea Crisanti
Montaggio/Editing: Ruggero Mastroianni
Suono/Sound: Vittorio Massi, Erik Molnar
Produzione/Production: Prima Cinematografica, Dubrava Film, Zagreb
Distribuzione/Distribution: Euro International Films
censura: 56677 del 09-09-1970
Altri titoli: Les hommes contre, Ljudi protiv, Bataillon der Verlorenen

Tra il 1916 e il 1917, sull'altopiano di Asiago, le truppe italiane e i soldati austriaci, in guerra, si contendono le cime strategiche delle montagne per poter avere la meglio sul nemico e far volgere a proprio favore le sorti del conflitto. La brigata Sassari, al comando del generale Leone, dopo aver abbandonato, per ordine superiore, la cima del monte Fior, costata la vita di tremila fanti, riceve dopo poco tempo il contrordine di riconquistare a tutti i costi l'obiettivo perduto.

Nella storia di questo tentativo estremo delle linee avanzate italiane emergono gli episodi che caratterizzano il racconto delle stragi dei soldati, delle decimazioni dei fanti italiani che, talvolta, si ribellano ad ordini assurdi e suicidi, della povera vita in trincea, nello sfondo della Grande guerra. Il generale Leone e i tenenti Ottolenghi e Sassu diventano le pedine di questo tragico gioco delle parti, fino all'estremo sacrificio.
Nel 1970 Francesco Rosi ha già alle spalle una convincente filmografia che lo caratterizza per l'impegno sociale e la denuncia dei mali della società in cui vive. Con "I magliari" del 1959 e, più approfonditamente, con "Salvatore Giuliano" del 1962 e "Le mani sulla città" del 1963, traccia il solco che caratterizzerà tutto il suo percorso di regista impegnato che vuole, però, anche interessare e stupire il numeroso pubblico con cinema di qualità.
In linea con questo cammino autoriale, in questo anno, decide di affrontare un tema che rappresenta, da sempre, un tabù per le generazioni del secondo dopoguerra: l'antimilitarismo e l'ideologia che esaspera l'attaccamento incondizionato e distorto alla Patria e alla guerra, anche a costo di sacrifici di molte vite umane.
Con Tonino Guerra e Raffaele La Capria, Rosi scrive la sceneggiatura di "Uomini contro", traendo la storia da fonti storiche e, soprattutto, ispirandosi liberamente al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'altopiano. Lussu, come raccontato successivamente da Mario Rigoni Stern, autore del famoso libro sulla disastrosa campagna di Russia italiana nella seconda guerra mondiale "Il sergente nella neve", non riconobbe il suo libro nel tracciato della sceneggiatura del film. Parte della critica cinematografica fu, a sua volta, molto dura con il film e Rosi fu denunciato per vilipendio dell'esercito, nonchè assolto poi in istuttoria.
Tanto il racconto del libro è incentrato sull'esperienza personale dei protagonisti e riconosce al meglio i sentimenti e la vita vissuta percependo con forza il dolore dell'uomo a contatto con l' esperienza della trincea, dell'assalto con la baionetta e della muta sofferenza di tutti i giorni, così il film vuole, invece, partire dai personaggi, dai numerosi ruoli diegetici dei gradi militari, pur ben tratteggiati come vedremo in seguito, per volare più alto e costruire un veicolo politico di denuncia dell' inutilità della guerra e della sua stupida e assurda giustificazione.
"Qualche volta abbiamo cantato" dice Lussu per indicare l'anima degli alpini e dei fanti, uomini armati che presidiano altopiani, e per sottolineare l'umanità e il sacrificio nella sua storia; "Basta, basta di questa guerra di morti di fame, il nemico è quello lì dietro di noi" risponde Rosi per bocca del tenente Ottolenghi e qui capiamo inequivocabilmente che i due strumenti culturali, libro e film, non possono più trovare, da ora, ulteriori punti di collegamento.
A Rosi interessa che lo spettatore non abbia dubbi: il conflitto è inumano; gli ordini sono ridicoli; i poveri fanti non hanno scampo; ogni protesta, ancorchè giustificata, è repressa nel sangue da ordini di superiori inadeguati; la guerra è solo orrore.
E' un messaggio semplice, per un film, alla fine, semplice, che lo spettatore assorbe nello svolgimento didascalico. La scelta di campo è faziosa; Rosi è volutamente fazioso, mai esagerato, e usa la demagogia per vincere la sua guerra contro la logica del militarismo.
Emerge la grandezza dei  soldati/ uomini semplici, consci del loro destino, uomini veri. Gli ufficiali sono ben interpretati da Volontè, il socialista, da Capponi, Albertini e da Mark Frechette, il sottotenente Lussu, la cui esperienza, prima da studente interventista e poi da ufficiale che deve fare i conti con la presa di coscienza della realtà della guerra, è ben tratteggiata. Su tutti la figura del generale Leone, magistralmente interpretato da Alain Cuny. Soldato tutto d'un pezzo che manda a morte il "suo" esercito per onore della Divisione, incapace di scindere il dovere militare e il suo dramma di persona mascherata dalla divisa.
La struttura del film è teatrale. La mdp segue i corpi con primi piani e piani americani, campi e controcampi di visi e occhi che si guardano sempre, talvolta per sfida, talvolta per misericordia. Riprese nervose, nessun piano sequenza significativo. Dagli attori, come pause non meditative, si passa alle trincee, alla battaglie che rappresentano lo sfondo ai conflitti dei personaggi. Le masse combattono, muoiono o si sollevano; gli attori si confrontano con la loro personale pavidità, pietà o coraggio.
La fotografia è impietosa e carica di grigio, fredda, quasi lunare; il paesaggio desolato, brullo, è bucato dalle bombe che lasciano desolazione e fosse di acqua sporca sovrastate dal filo spinato.
La regia è dunque essenziale per partire dai personaggi e lanciare i messaggi/episodi contro la guerra. Film con molti eccessi, spettacolare quando la scena diventa più racconto di guerra, dall'assalto di massa alle trincee nemiche, alla missione di pochi volontari impauriti, alla strage dei soldati mandati in avanscoperta con le famose quanto inutili e sottili corazze "Fassina", risultato di qualche speculazione in patria.
La visione di questo film non può non far ricordare, per i temi affini, "All'ovest niente di nuovo" del 1930 e "Niente di nuovo sul fronte occidentale" del 1979 in cui la prima guerra mondiale è vista con tematiche antimilitariste dal punto di vista tedesco tratte dal libro di Erich Maria Remarque, ma soprattutto il film di Stanley Kubrick del 1957 "Orizzonti di gloria". Anche il regista americano ci riporta al rapporto contrastato tra le gerarchie militari e alla stupidità della guerra dei regolamenti che dirigono i comportamenti dei soldati. Se permettete che si liquidi questo grande film in quattro parole, si potrà osservare che il film di Kubrick è più semplice, meno fazioso e più introspettivo nel far affiorare le personalità degli attori rispetto al nostro "Uomini contro" di Francesco Rosi, al netto, ovviamente, della perfetta prova di regia e di fotografia prodotta.
Il film del regista italiano è da vedere con interesse, nè da amare, nè da odiare; lo spettatore, se cerca l'assurdità della guerra e l'eroismo dei soldati, qui li trova come iperbole.
Le inutili stragi derivanti dalla dannazione ideologica della dannunziana ideologia della "bella morte" generano solo odio e dolore e questo il maestro Rosi ce lo insegna molto bene.

Note:
-Il film, per forti resistenze incontrate in Italia, fu girato in Jugoslavia;
-Il doppiatore di Mark Frechette (sottotenente Lussu) è Giancarlo Giannini

Recensione a cura di:




contatore

Commenti