LA MAZURKA DEL BARONE, DELLA SANTA E DEL FICO FIORONE |
Regia: Pupi Avati.
Soggetto: Pupi Avati, Antonio Avati.
Sceneggiatura:
Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina.
Fotografia: Luigi Kuveiller
(Technicolor).
Montaggio: Ruggero Mastroianni.
Scenografia e Costumi:
Fiorenzo Senese.
Musiche: Amedeo Tommasi.
Edizioni Musicali: Eurofilm
Music (Roma).
Organizzazione Generale: Aldo V. Passalacqua.
Aiuto
Regista: Antonio Avati.
Assistente alla Regia: Riccardo Tognazzi.
Operatore alla Macchina: Antonio Annunziata.
Fonico: Mario Dallimonti.
Clarinetto e Sax Solista: Hengel Gualdi.
Canzoni: Sugar Bush,
Fascination.
Teatri di Posa: De Paolis (Roma).
Mixage: Alberto Tinebra.
Registrazione Sonora: Coop Lavoro Fono Roma srl, CVD.
Direttore del
Doppiaggio: Carlo Baccarini.
Girato: Cento, Bologna.
Produttore:
Giovanni Bertolucci.
Casa di Produzione: Euro International Films.
Distribuzione/Distribution: Euro International Films
censura: 65918 del 17-01-1975
censura: 65918 del 17-01-1975
Interpreti: Ugo Tognazzi,
Paolo Villaggio, Delia Boccardo, Gianni Cavina, Giulio Pizzirani,
Gianfranco Barra, Lucienne Camille, Andrea Matteuzzi, Bob Tonelli, Pina
Borione, Ines Ciaschetti, Ferdinando Orlandi, Adolfo Caruso, Lucio
Dalla, Patrizia De Clara, Cesare Bastelli, Fanny Bertelli, Luciano
Bianchi, Gina Bona, Pietro Bona, Giovanni Brusadori, Giorgio Cerri,
Gilberto Fiorini, Luigi A. Guerra, Arrigo Lucchini, Carla Mancini,
Alfredo Marchioni, Giulio Rizzi, Elsa Schiassi, Luisella Torsello,
Raffaele Triggia, Tatiana Uniti, Giacomo Vecchi.
La mazurka del barone… è il terzo lungometraggio diretto da Pupi Avati,
la sua prima commedia, grottesca e provinciale, molto felliniana e dalle
salde radici romagnole, ambientata a Bagnacavallo, ma di fatto girata
tra Bologna e Ferrara (Cento). Per la precisione la villa del barone si
trova a Bagno di Piano (tra Caldarara di Reno e Castello d’Argile), la
stazione di arrivo è quella di Bodeno, la balera è a Finale Emilia.
Le
sequenze romane ambientate in Vaticano sono state girate a Bologna e
l’antefatto che narra le gesta della santa è stato realizzato a
Manziana, uno dei luoghi storici del cinema italiano, nei pressi di
Roma.
In breve la trama. Anteo Pellecani (Tognazzi), detto la gambina
maledetta, torna a Bagnacavallo per prendere possesso dell’eredità che
comprende una villa e l’orto con annesso un fico fiorone miracoloso. Nel
726, infatti, Girolama Pellecani fu stuprata da un’orda di barbari
longobardi proprio sotto quella pianta, salvando la vita alle compagne e
quindi ritirandosi a vivere tra i rami del fico, dove dette alla luce
un figlio. Da quel tempo la pianta è giudicata miracolosa, in paese
dicono che guarisca malati e risolva problemi, inoltre per la Chiesa
rappresenta un buon affare economico. Il solo a odiarla con tutta
l’anima è il barone Anteo che, giovane e valente podista, salì sul fico,
cadde dal ramo, si ruppe una gamba, finì per zoppicare e dovette
abbandonare lo sport che amava, diventando cinico e misogino. Arrivato a
Bagnacavallo il suo unico scopo è quello di far abbattere il fico, ma
nessuno lo asseconda, persino un rozzo contadino (Dalla) si rifiuta di
procedere a segarlo perché da piccolo è stato miracolato. Anteo spaventa
una carovana di pellegrini spagnoli a raffiche di mitraglia, getta
bombe sul fico, disprezza la corte di un’esuberante cugina, ma cambia
repentinamente carattere quando crede di vedere apparire la santa tra i
rami del fico. In realtà è soltanto una prostituta bionda (Boccardo),
che guidata da un protettore privo di scrupoli (Villaggio) conduce il
gioco alle estreme conseguenze fino a ordire una truffa ai danni del
barone. Anteo cade in miseria, si riduce a vivere in una baracca accanto
al fico e attende invano una nuova apparizione. La santa torna a
sorpresa, perché la prostituta pentita prima confessa il reato al
commissario, quindi finisce per dare alla luce il figlio che porta in
grembo proprio sotto il fico fiorone. Finale tragico, da vera commedia
all’italiana, con la prostituta che muore di parto e il barone che vaga
nella notte fredda e innevata, tenendo stretto in braccio il neonato,
mentre nuovi turisti della fede tornano ad affollare il luogo e
confermano le parole di un cinico prete: I miracoli servono!
Pupi Avati dimostra fin dal primo film non di genere la sua grande
predisposizione a narrare piccole storie di provincia, debitore di
Amarcord (1973) di Federico Fellini per la galleria di tipi umani
assurdi e per le donne sovrabbondanti, prima tra tutte la cugina
scorreggiona del barone. Personaggi minori resi con magistrale bravura
da Gianni Cavina (il servo sciocco e sessuomane), Giulio Pizzirani (il
prete intrallazzone), Gianfranco Barra (il brigadiere ignorante), Lucio
Dalla (il contadino) e Patrizia De Clara (la cugina svampita). Ugo
Tognazzi è superlativo nel cambiamento di personalità, da cattivo senza
redenzione a uomo disperato e affranto, perfetto nella doppia
caratterizzazione. Paolo Villaggio porta al cinema i suoi personaggi
televisivi del momento, i cattivi stile Franz tedesco di Germania, qui è
un magnaccia bigamo, del tutto amorale, che vive alle spalle di due
esuberanti prostitute (Boccardo e Camille). Il film è una commedia
grottesca, introdotta da un antefatto storico ironico - quasi un film
nel film - dove si raccontano le gesta della santa e si compie una sorta
di parodia de L’armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli. La
commedia provinciale, poi, prende strade molto felliniane, racconta di
cantanti stonati che si esibiscono a teatro, balere dove si balla la
mazurka, seduzioni maldestre, superstizioni e voglie represse, tipi da
Bar Sport, contadini incolti e carabinieri sciocchi. Fotografia dai toni
opachi del buon Kuveiller, montaggio senza tempi morti del bravo
Mastroianni, interessante colonna sonora di Tommasi con immancabili
accenni jazz (la passione di Avati) e pezzi da solista interpretati da
Gualdi. Un film ancora acerbo, ma che presenta in nuce tutte le
caratteristiche di un Avati futuro narratore di piccole storie della
provincia italiana, capace di mantenere il registro narrativo in bilico
tra commedia e sentimento, tra ristata grottesca e dramma incipiente. Da
riscoprire.
Recensione a cura di:
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