PORCA VACCA (1982)



Regia: Pasquale Festa Campanile. 
Soggetto: Marcello Coscia, Pasquale Festa Campanile. 
Sceneggiatura: Massimo De Rita. 
Montaggio: Amedeo Salfa. 
Fotografia: Alfio Contini. 
Costumi: Luca Sabatelli, Ugo Pericoli. 
Architetto: Guido Josia. 
Direttore di Produzione: Angelo Zemella. 
Produttore Esecutivo: Luciano Luna. 
Aiuto Regista: Maria Pia Rocco. 
Musiche. Riz Ortolani (dirette dall’autore/ Nazionalmusic Edizioni - Milano). 
Produzione: Faso Film srl (Roma). 
Produttore. Achille Manzotti. 
Interpreti: Renato Pozzetto, Laura Antonelli, Aldo Maccione, Raymond Pellegrin, Raymond Bussières, Consuelo Ferrara, Antonio Marsina, Antonio Orlando, Gino Pernice, Enzo Robutti, Adriana Russo, Edoardo Sala, Toni Ucci, Massimo Sarchielli, Rita Della Torre, Duo di Piadena, Ernesto Colli, Dino Cassio, Roberto Ceccacci, Giuliano Manetti, Maurizio Francisci, Corrado Olmi, Paolo Fiorino, Lucio Salis, Antonio Pollio, Maurizio Mattioli, Ennio Antonelli.

Pasquale Festa Campanile è uno dei nostri registi meno considerati dalla critica contemporanea e attende ancora la giusta rivalutazione. Scrittore prestato al cinema, racconta le sue storie con garbo e umorismo, costruendo commedie sofisticate, interpretate da attori popolari. Porca vacca porta nel cinema di serie A la maschera surreale di Renato Pozzetto, inventata da Mogherini, ma di fatto strutturata dallo stesso comico, in un'interpretazione più intensa del solito.
Siamo in piena Prima Guerra Mondiale, l'attore di avanspettacolo Primo Baffo (Pozzetto) viene reclutato e spedito in trincea dove fa i conti con le asprezze di un conflitto terribile, tra le doline del Carso, al confine con l'Austria. La pellicola si sviluppa come una storia d'amore e d'amicizia tra il soldato e due ladruncoli delle montagne, interpretati da Laura Antonelli e Aldo Maccione. Festa Campanile segue la lezione di Mario Monicelli e critica la grande guerra, sceglie di distruggere la retorica patriottica che da sempre riveste l'ultima guerra d'indipendenza, descrivendo orrori ed eccidi di un conflitto cruento. Il personaggio interpretato da Pozzetto è il più dissacrante, perché canta per tutta la pellicola canzoni patriottiche corrette in versione satirica, facendo capire la posizione del popolo verso il primo conflitto mondiale. Laura Antonelli è una scaltra truffatrice che si approfitta di un soldato ingenuo, finge di amarlo, fa affari con gli austriaci e finisce per essere violentata da un gruppo di soldati. Nonostante tutto sia Maccione che Pozzetto sono innamorati di lei e fino all'ultima sequenza sognano di vivere insieme, magari sposandola entrambi. Il gesto più coraggioso del film verrà proprio dalla donna, che farà saltare in aria una diga e morirà per compiere una missione suicida. Non è patriottismo, però, ma soltanto vendetta per la violenza subita. Festa Campanile racconta anche il teatro di avanspettacolo, un mestiere ingrato dove il comico è investito da improperi perché il pubblico vuol vedere soprattutto le gambe delle ballerine. Il potere consolatorio dell'arte, la funzione di sostegno e di sollievo al dolore nei momenti difficili è un tema caro all’autore. Ricostruzione storica perfetta, tra trincee, montagne, casolari sperduti, borghi di contadini, attacchi con il fucile, bombe che esplodono, soldati che scrivono a casa e temono la morte. Una pellicola comica che a tratti diventa drammatica, che racconta la vita, secondo la lezione della commedia all'italiana, a tratti soffusa di un tenue erotismo, in misura minore rispetto alla media dei lavori del regista. Il momento erotico più forte è quando vediamo in primo piano la mancanza di una donna, le avventure in casino con le prostitute e i fugaci incontri con ragazze di paese. Un film contro la guerra, ma al tempo stesso un film bellico, perché le sequenze di battaglia sono girate molto bene, i bombardamenti sono realistici e alcune scene acrobatiche risultano credibili. Campanile inserisce la goliardia tipica degli ambienti militari, gli scherzi feroci, che si alternano a considerazioni profonde: “Io vengo dalla guerra. Là si muore e basta”, “Con la guerra non si capisce più niente. Non si sa chi nasce, non si sa chi muore...”. Tra gli attori ricordiamo un valido interprete come Toni Ucci, soldato romano in trincea, autore dello scherzo feroce dei pasticcini alla merda. Dino Cassio, comico dei Brutos insieme a Maccione, si vede solo per una rapida sequenza. Sceneggiatura priva di buchi, anche se la storia perde di efficacia nella seconda parte, troppo sbilanciata sul versante sentimentale. Di grande effetto la frase finale: “Quando torna la Marianna la sposiamo tutti e due”. Non tornerà più. I due patetici eroi lo sanno bene. Ottima la colonna sonora - dolce e suadente, mixata a motivetti satirici come L'arrotino - composta niente meno che da Riz Ortolani.
Pino Farinotti (due stelle): “Pasquale Festa Campanile cerca di ripetere La grande guerra (1959, nda) ma il pastiche di dramma e comicità gli riesce solo saltuariamente”. Morando Morandini (due stelle, ma per il pubblico tre): “È il tentativo , soltanto in parte riuscito, di buttare in farsa la tematica dell’antimilitarismo. Festa Campanile era un intelligente che si buttava via. Qua e là pecoreccio. Laura Antonelli in forma. Renato Pozzetto un po’ meno”. Paolo Mereghetti (una stella): “Festa Campanile tenta di ripercorrere lo schema de La grande guerra di Monicelli. Ma malgrado alcuni tocchi filologici (le canzoni e i numeri d’avanspettacolo) e il populismo generoso, non sa fondere tragedia e commedia (specie se la comicità è affidata al turpiloquio allora in voga). A morire alla fine è solo Marianna, stuprata dai crucchi in una scena di inutile trucidume. La povertà produttiva e la sciatteria della confezione sono tipiche di uno dei periodi più bui del nostro cinema”.
Ho voluto trascrivere parola per parola i due giudizi cialtroneschi di Morandini e Mereghetti, per sottolineare il triste modo di operare della nostra critica cinematografica. La grande guerra di Monicelli è un capolavoro ineguagliabile, ma questo non significa che Porca vacca sia un film pecoreccio, una farsa, girata con povertà produttiva e sciatteria della confezione. La nostra critica alta spesso si butta via. Non solo, ancora più spesso butta via il bambino (film da salvare) con l’acqua sporca (anni Ottanta, crisi storica del cinema italiano).

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