C'ERAVAMO TANTO AMATI (1974)


Regia/Director: Ettore Scola
Soggetto/Subject: Agenore Incrocci [Age], Furio Scarpelli, Ettore Scola
Sceneggiatura/Screenplay: Agenore Incrocci [Age], Furio Scarpelli, Ettore Scola
Interpreti/Actors: Nino Manfredi (Antonio), Vittorio Gassman (Gianni Perego), Stefano Satta Flores (Nicola Palumbo), Stefania Sandrelli (Luciana Zanon), Giovanna Ralli (Elide Catenacci, figlia), Aldo Fabrizi (Romolo Catenacci), Marcella Michelangeli (Gabriella), Mike Bongiorno (se stesso), Federico Fellini (se stesso), Marcello Mastroianni (se stesso), Nello Meniconi (se stesso), Guidarino Guidi (se stesso), Alfonso Crudele (se stesso), Isa Barzizza (se stesso), Livia Cerini, Elena Fabrizi (moglie di Romolo), Fiammetta Baralla, Armando Curcio (Palumbo), Carla Mancini, Lorenzo Piani, Amedeo Fabrizi (Amedeo, figlio di Romolo), Ugo Gregoretti (presentatore), Luciano Bonanni (Torquato)
Fotografia/Photography: Claudio Cirillo
Musica/Music: Armando Trovajoli
Costumi/Costume Design: Luciano Ricceri
Scene/Scene Design: Luciano Ricceri
Montaggio/Editing: Raimondo Crociani
Suono/Sound: Vittorio Massi
Produzione/Production: Deantir, Dean Film, Delta
Distribuzione/Distribution: Delta
censura: 65672 del 06-12-1974

L’ossessione per il cinema, il gioco meta-cinematografico che si fa testo, narrazione, filologia e poetica. Rivedendo se stesso, giudicandosi, specchiandosi nel passato, pur riflettendo lucidamente gli umori del presente (anche il nostro, paradossalmente). Questo in sintesi potrebbe essere il significato concettuale di C’eravamo tanto amati, elogio funebre riflessivo solo in parte voluto di una “commedia all’italiana” che affonda da sempre le proprie radici nella riflessione e nell’amarezza viva, pulsante e mutevole e, forse per questo poco afferrabile, della realtà.
Trent’anni di Storia italiana dall’emblematico 1944 del secondo conflitto mondiale al 1974, anno del film. Age e Scarpelli ed Ettore Scola tratteggiano la storia di un professore ossessionato dal Ladri di biciclette desichiano ad affresco del trentennio. Ma poi decidono di svoltare e mantenere lo spunto a tassello di un puzzle più ampio,corale, a bilancio di amicizia, amore, gioia e dolore che faranno proferire ai protagonisti amarissime battute-epitaffio quali: “La nostra generazione ha fatto veramente schifo” o “Credevamo di cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi”. I trent’anni del narrato e i quarant’anni dall’uscita del film si specchiano e si intersecano, oggi più che mai storie nella Storia, valori universali nel tessuto sociale, da sempre indagato chirurgicamente da quel “made in Italy” brillante e presunto-leggero. Tre uomini, tre amici nonostante tutto, legati insieme da tentacoli contraddittori, diversissimi tra di loro e che appunto si confrontano con i propri demoni.
Tutto inizia durante la Resistenza nello splendido bianco e nero favolistico per poi dipanarsi in tre decenni colorati, tra abbandoni, traumi, tradimenti e ritrovamenti. Le fatiche ricostruttive del dopoguerra, boom e congiunture, ricerca del benessere, arrivismo e segni della tangibile crisi degli anni Settanta che colpirà anche il modo di fare cinema.
Antonio (Nino Manfredi), Gianni (Vittorio Gassman) e Nicola (Stefano Satta Flores) sono tre diversissime facce di un bestiario umano e sociale contrappuntato dalla frizzante Luciana (Stefania Sandrelli), aspirante attrice, simbolo di un’ingenuità che diventa morale e saggezza. Sorretto da una colonna sonora di Armando Trovajoli che tratteggia il monolitico realismo della vicenda, tra aperture melodico-drammatiche e ammiccanti contrappunti umoristici, Scola riesce a regalare sfumature ironiche a un racconto di vita, il più vicino possibile, ma allo stesso tempo il più arduo da afferrare e narrare. In fondo nel cinema del regista romano la vena satirica si è sempre amalgamata alla perfezione allo scheletro tangibile e amaro della rappresentazione.
Alcune soluzioni espressive tolgono il fiato: la voce fuori campo dei protagonisti, mai pesante e sempre ricamatrice, è addirittura voce di coscienza e di pensiero; le pennellate temporali, come il magico passaggio tra il bianco e nero e il colore attraverso i quadri di un madonnaro, entrano nella storia espressiva del cinema italiano. Cinema che è sempre presente nei discorsi e nelle aspirazioni dei protagonisti. Cinema come lezione e manifesto storico-sociale, soprattutto nel personaggio di Satta Flores che partecipa al Lascia o raddoppia? mikebongiorniano presentandosi come “esperto di cinema” e contrapponendo il citato film di De Sica alla “volgarità” televisiva. Il cinema come citazione universale e comportamentale (impagabile il dialogo sull’”incomunicabilità” alla Antonioni nel rapporto tra Gassman e la moglie Giovanna Ralli che cita L’eclisse). E infine cinema del riflesso, del mito senza tempo (l’apparizione di Fellini e Mastroianni sul set della Dolce vita; le citazioni-favole di Satta Flores che racconta enfaticamente La corazzata Potemkin a una divertita Sandrelli prima della decostruzione “escrementizia” dell’imminente Fantozzi). De Sica morì poco prima dell’uscita del film, che inconsapevolmente diventa omaggio a un neorealismo di pensiero, fatto di amicizia, sentimenti e malinconia non incorniciati in una dimensione ideale.
E con C’eravamo tanto amati muore in bella mostra di ricapitolazione anche quella tanto celebrata “commedia” che lascerà il passo al “rigor mortis” degli anni di piombo e dei borghesi-piccoli-piccoli. Tornare indietro non sarà più possibile. Meglio scappare tra un ambiguo “Boh?!”.

Recensione a cura di:



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