PULCE NON C'E' (2012)

Regia: Giuseppe Bonito (opera prima)
Soggetto Monica Zapelli
Sceneggiatura Monica Zapelli
Collaborazione scenegg. Gaia Rayneri
Interpreti: Pippo Delbono, Marina Massironi, Francesca Di Benedetto, Ludovica Falda, Piera Degli Esposti, Giorgio Colangeli, Anna Ferruzzo, Rosanna Gentili
Direttore fotografia Massimo Bettarelli
Montaggio Roberto Missiroli
Scene Michele Modafferi
Costumi Fiorenza Cipollone
Suono Paolo Lucaferri
Casting Director Stefania Rodà
Musiche Mokadelic
Canzone Originale Niccolò Fabi
Produttore Marco Donati
Produzione Overlook Production
Anno di produzione: 2012
Durata: 97'
Formato di ripresa: 35mm, colore, Dolby srd
Formato di proiezione: 35mm, colore
Ufficio Stampa: Ufficio Stampa Overlook Production

Festival Internazionale del film di Roma, Novembre 2012. Tra i film italiani in concorso troviamo l’opera prima del regista Giuseppe Bonito, dal titolo “Pulce Non C’è”. Ispirato all’omonimo romanzo di Gaia Rayneri, è l’unico film italiano presentato in concorso nella sezione autonoma al Festival “Alice nella città” e che si è avvalso del Premio Speciale della Giuria.

“Pulce Non C’è” è la storia di una famiglia che all'improvviso si trova ad affrontare una situazione molto più grande di essa e dell’autismo che ha colpito fin dalla nascita la piccola Pulce. Una situazione molto comune, ma che nell'immaginario collettivo è vista con un dovuto occhio di riguardo (del tipo “spero non mi capiti mai”). E’ un racconto che nel suo evolversi lascia aperte molteplici fessure su possibili tragici epiloghi, ma che man mano sfumano nella speranza più recondita. Sono i fatti realmente accaduti e vissuti in prima persona da Gaia Rayneri, da cui successivamente ne ha tratto un libro e che nel film ritroviamo in veste di sceneggiatrice. Sulla carta gli eventi si svolgono nell’arco di un anno, mentre sul grande schermo appaiono in rapida successione, come se si vuol fin da subito far addentrare lo spettatore nello stesso canale emotivo dei personaggi. Gli eventi che colpiscono i personaggi, però non caratterizzano la loro personalità, bensì li lascia in una sorta di limbo caratteriale che solo in rari casi si presta ad una risoluzione. E’ il caso di Gualtiero, padre e medico, vittima della depressione che lo porta ad essere timidamente irascibile, come se ogni volta stesse li per scoppiare, ma dove medesimamente riesce comunque a controllarsi, anche quando gli vengono fatte accuse pesanti come quella di aver violentato sessualmente le proprie figlie. Il personaggio di Gualtiero è difficile da delineare, è lì sempre pronto a subire tutto ciò che gli accade, e fa veramente credere fino alla fine che probabilmente può aver violentato le bambine, fino a quando ad un colloquio con la psicologa che dovrebbe restituirgli l’affidamento della piccola Pulce, cede e finalmente si libera di tutto ciò che lo affligge. Il personaggio più importante a livello narrativo è Giovanna, sorella maggiore di Pulce. Tra tutte le personalità in gioco nel racconto, è proprio quella di Giovanna ad essere mostrata nel più profondo. Questo di certo perché è la trasposizione filmica di Gaia Rayneri, fatto che di conseguenza rende Giovanna voce narrante della vicenda. Inoltre la ragazza tredicenne pare sia veramente l’unica della famiglia ad aver accettato da sempre l’autismo della sorella. Grazie a questo personaggio lo spettatore viene a conoscenza di tutto quello che fa da contorno alla vicenda. Attorno alla ragazza viene dipinta una Torino solare, circondata da parchi erbosi con giovani ragazzi che giocano a calcio, laddove viene reinventata una disciplina scolastica capace di trasformarsi, ritrovandosi prima severa, poi incoraggiante e meritocratica. Tramite Giovanna si ha modo di raccontare una generazione di ragazze discriminata dalla propria età acerba ad essere incapace di reinventarsi a donne adulte. Si racconta quella stessa generazione pigra d’ideali e di solidarietà, quella stessa generazione dove se non sei uguale agli altri non sei parte del mondo. Concetti che sfiorano a malapena Giovanna, che non si lascia neanche trascinare dalla cattiva influenza che potrebbe riservarle la migliore amica, sua unica compagnia. Giovanna si limita a volersi vestire da “adulta” come lei, in modo da poter stimolare l’attenzione dei ragazzi. Mentre la piccola Pulce è l’unico personaggio sempre coerente, senza un carattere da delineare e rivedere, ma pieno di sfumature da ricalcare per poter essere mostrato e compreso nella sua piena totalità. Pulce è sola pur essendo circondata dalla sua famiglia, ed è il personaggio-causa su cui si scatena tutta la vicenda. Sua madre Anita vive nella speranza di poter migliorarle le condizioni, anche sperimentando tecniche psicologiche come quella di far parlare la piccola Pulce attraverso la scrittura digitale. Per Anita è importante che la figlia parli, che la figlia abbia la capacità di mettere giù delle frasi e non dei concetti emotivi; non è importante che si esprima e che esterni la sua condizione, cosa impossibile per la piccola Pulce. Ed è questo che porta al fraintendimento da parte della maestra e della bidella, che durante la scuola intente a comunicare con Pulce tramite il computer, si convincono dell’errore/orrore che la bambina sia vittima delle violenze sessuali del padre, innescando tutto quel meccanismo che porterà i personaggi ad affrontare momenti davvero molto difficili.

Purtroppo la recitazione non sempre è all'altezza della disfacente narrazione. Marina Massironi che interpreta Anita, per esempio, lascia ben intravedere tutti i suoi limiti espressivi, ma che in alcuni casi danno beneficio alla pellicola conferendogli quella veridicità che deve assolutamente possedere. Fa altrettanto Pippo Delbono, che nei panni di Gualtiero lo si percepisce insicuro e il più delle volte non all’altezza del grande peso che gli riserva lo stesso personaggio. Francesca Di Benedetto è perfetta nella parte di Giovanna, di certo ha con se tutti i limiti di un’attrice alle primissime armi, ma ha una grande forza espressiva che la rende capace e repentina al cambiamento degli umori del suo personaggio.



La vicenda si svolge in una Torino a volte assolata, a volte ricoperta da cieli plumbei, ma che non si distacca mai dai comportamenti e dagli umori della vicenda stessa e dei personaggi. Gli interni stessi conferiscono rifugio e protezione, soprattutto a partire dalla seconda parte del film, quando si dispone il malessere dei personaggi nelle condizioni di poter uscire dal loro privato, laddove nessuno se ne accorge. La fotografia gioca molto bene su questi spazi prima luminosi e poi cupi, prima aperti e poi chiusi, conferendo al racconto quella sua innata e viscerale veridicità. Per cui la luce viene trattata nelle modalità più naturali, senza interventi che possono disorientare lo spettatore e ne tanto meno distaccarlo dalle situazioni realistiche in cui è stato catapultato fin dal principio. Medesimo concetto per le inquadrature rigide, con la messa a fuoco sul personaggio posto al centro della scena, da cui per merito di una giusta profondità di campo degli ambienti si riesce a non renderlo completamente distante dalla realtà che lo circonda. Nel film c’è una forte carenza di campi lunghissimi (escludendo i titoli di testa), si cerca di dare più importanza a campi medi e totali, questo soprattutto per merito dei luoghi a cui non vi è necessità di vaste vedute. I fatti avvengono in una Torino urbana, dove si preferisce inquadrare un campo medio di un parco giochi, anziché un campo lunghissimo della città con una vasta veduta di palazzi e vicoli. E’ qui che ancora una volta lo spettatore si deve immedesimare nei personaggi, percependo quell’assenza di via di fuga, dove è costretto a subire gli eventi, a combatterli. Ed è proprio mettendo in scena campi ridotti, primi e primissimi piani e quindi spazi limitati che si cerca di farlo entrare nel forte stato di disagio e pressione psicologica del personaggio. Se non si fa ampio uso di campi lunghissimi, di certo se ne fa molto di primi e primissimi piani, laddove si sottolinea l’emozione dei personaggi comunicata dall’espressione del volto.
In una situazione in cui si preferisce un linguaggio verbale e gesticolare, la musica viene messa in secondo piano, rendendosi funzionale nei passaggi drammatici tra sequenze e scene. L’attenzione sonora viene rivolta verso le parole, facendo dei dialoghi la grande forza del film. Ma soprattutto l’attenzione è rivolta ai rumori urbanistici e domestici, come il rumore dei motori delle automobili o anche il semplice riverbero di una stanza, il tutto ancora una volta funzionale al voler mettere lo spettatore nelle condizioni di dover percepire gli accadimenti come se stessero accadendo a lui stesso. Il maggior  numero delle sequenze sono unite da un decoupage tipico dell’alternanza tra luoghi e personaggi che si diversificano, pur mantenendo la stessa identità narrativa. La scena, rimane un elemento isolato e legato al determinato momento concettuale, dandosi successivamente sfogo riproducendosi in sequenza. Per cui nel film non si cerca di ricostruire un insieme narrativo, ma bensì lo si va a dotarlo di un continuum scorrevole e coerente complice alla buona e propria resa linguistica ed emozionale.

“Pulce Non C’è” è un buon prodotto audiovisivo, che in esso ha tutte le carte in regola, sia dal punto di vista linguistico che dal punto di vista emozionale, nonostante abbia tutti i limiti di una produzione italiana. Porta con se un messaggio, apparentemente non molto significativo, cioè quello di valutare con coscienza ciò che accade attorno a noi prima di gettarsi in calunnie e pregiudizi che potrebbero modificare o rovinare l’esistenza di qualcun’altro.  E’ un racconto che può annoiare, emozionare o anche sorprendere lo spettatore, da un’innata capacità narrativa ingannevole che lo rende un film “contrario”, laddove il lieto fine non è la scontatezza, ma il colpo di scena.  

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