INFERNO (1980)



Regia/Director: Dario Argento
Soggetto/Subject: Dario Argento
Sceneggiatura/Screenplay: Dario Argento
Interpreti/Actors: Leigh McCloskey (Mark Elliott), Irene Miracle (Rose Elliott), Sacha Pitoëff (Kazanian), Daria Nicolodi (Elisa Delon Valadier), Eleonora Giorgi (Sara), Alida Valli (Carol), Veronica Lazar (infermiera), Feodor Chaliapin jr. (dr. George Arnold), Gabriele Lavia (Carlo), Leopoldo Mastelloni (John, domestico), Ania Pieroni (allieva scuola musica), Rodolfo Lodi, Luigi Lodoli, Fulvio Mingozzi (tassista), Paolo Paoloni (prof. di musicologia), Rosario Rigutini
Fotografia/Photography: Romano Albani
Musica/Music: Keith Emerson
Costumi/Costume Design: Massimo Lentini
Scene/Scene Design: Giuseppe Bassan
Montaggio/Editing: Franco Fraticelli
Suono/Sound: Francesco Groppioni, Giancarlo Laurenzi
Produzione/Production: Produzioni Intersound
Distribuzione/Distribution: 20th Century Fox, 20th Century Fox
censura: 74729 del 06-02-1980
Altri titoli: Inferno, Inferno, Horror Infernal

La summa di questo film e la parte in cui si possono più agevolmente trarre letture ed interpretazioni non dispersive, è forse una delle scene centrali, apparentemente slegata dal contesto: quella in cui, dopo l’inquadratura sempre più ravvicinata dell’astro lunare sottolineato dall’incedere del “Va pensiero” di Verdi, una misteriosa mano guantata di nero ritaglia da un pezzo di carta alcune figurine le cui teste vengono recise da un forbice; in rapida sequenza assistiamo al pasto di una lucertola che tiene stretta tra le mandibole una falena, all’impiccagione di una donna e ad un “volo” che ci “trasporta” dall’esterno fino al luogo da cui eravamo “partiti” (l’abitazione di Sara/Eleonora Giorgi). Nel prologo introdotto dall’apertura del libro (supporto di una voce narrante fuori campo, versione “nera” dei prologhi della favole disneyane che partono anch’esse da pagine che vengono sfogliate e che danno vita al film), l’autore Varelli ci ha già informati che la Madri sono tre come tre sono le Muse, tre le Grazie, tre le Parche e tre le Furie. Queste entità soprannaturali, stregonesche e legate al mondo alchemico con i suoi segreti nascosti ai profani, come le Muse sono fonte di ispirazione (per Varelli stesso, che ne ha costruito le abitazioni per celebrarne la potenza); come le Grazie “portano doni”, in questo caso nefasti, sotto forma di “dolori” (sospiri, lacrime e tenebre); come le Furie perseguitano i personaggi del film, più casualmente e sadicamente che per seguire un disegno di vendetta o di giustizia per quanto cruenta (in certi casi viene punita la curiosità, come nel caso di Rose, Sara, Elise; oppure l’avidità o il sostituirsi ai voleri della Mater, come nel caso di Kazanian, di John e della portinaia); ma soprattutto come le Parche “tirano i fili” delle sorti umane (come ha lasciato intuire la scena prima descritta) e li recidono a loro piacimento. Le figure che percorrono il film spesso incedono come sonnambuli straniti, persi in un incubo variopinto che taglia i loro volti con luci colorate (la lezione di Bava e del precedente lavoro di Argento, “Suspiria”, è dichiarato ed enfatizzato: si pensi alla morte di Rose in un tripudio di blu e fucsia, di rosso e di nero) e che si prepara ad “annullarli”, non dando loro il tempo nemmeno di diventare “eroi”, di svelare un mistero o di “farne tesoro” comprendendolo fino in fondo. I personaggi sono inconsistenti, corpi pronti ad essere immolati all’interno della casa maledetta/sacrario/altare sacrificale o in luoghi limitrofi dove si propaga l’influenza maligna (un Central Park magnificamente fotografato), semplici “figurine”, come già è stato indicato, testimoni impotenti del caos. Da una parte ci sono quelli che possono essere indicati come i “buoni”, ansiosi solamente di trovare una risposta alle proprie domande: Rose, Sara, Elise, Mark. Le prime sono eteree figure femminili, che presto verranno “marchiate” dal male (la precognizione della loro morte avviene tramite un’occasionale ferita o il contatto con il sangue: l’ago nella portiera del taxi che punge Sara, la maniglia di vetro rotta che taglia il palmo della mano di Rose, le macchie di sangue che sporcano i piedi nudi di Elise) e barbaramente trucidate dopo un’attesa snervante: Sara riesce dapprima a sfuggire al suo aggressore per poi trovare la morte in casa propria; Rose è costretta a percorrere dedali di stanze battuti dalla pioggia, infestati da animali veri e artificiali - piccioni e rettili imbalsamati - prima della sua “esecuzione” tramite l’improvvisata ghigliottina rappresentata dalla finestra con il vetro spezzato; Elise si vede bloccare ogni via di fuga prima di giungere in soffitta ed essere attaccata dai gatti e poi pugnalata. Mark, che ha il volto pulito e un po’ inespressivo di Leigh McCloskey, si rivela un “eroe della situazione” assolutamente incompleto e inadatto, dopo che la morte della sorella ha costretto lo spettatore a cercare un sostituto dell’eroina prematuramente uscita di scena: la sua debolezza si esplicita con lo stordimento e gli strani malori che lo colgono per ben due volte durante il film (quando non riesce ad interpretare le frasi sussurrate dalla misteriosa ragazza, interpretata dalla magnetica Ania Pieroni, nella sala di musica e quando sviene nei sotterranei dopo aver inalato i vapori venefici); certamente arriva al “cuore” del palazzo e all’incontro con la Mater, ma la sua uscita finale dall’edificio in fiamme e l’espressione con la quale assiste al rogo, lo conferma come uno spettatore passivo, quasi inconsapevole della vicenda che ha vissuto, incapace di coglierne il senso, protagonista solo di “un sogno in un sogno”, mentre l’arrivo banale e tranquillizzante dei vigili del fuoco riporta anche lo spettatore alla realtà. Realtà percorsa, fino a quel momento, dalle grandi vele di irrazionale e di delirio di cui ha parlato nelle interviste il regista Argento: non solo per l’irreale e caleidoscopica messa in scena, ma anche per l’accumulo di situazioni stranianti e/o oniriche, come il bagno di Rose nell’appartamento sommerso dall’acqua con l’improvviso palesarsi del cadavere putrefatto; oppure come la morte di Kazanian nell’acquitrino fra i topi, sottolineato dall’incalzante “Kazanian’s tarantella” di Keith Emerson e conclusa con il colpo di scena dato dall’arrivo del cuoco che, invece di salvare l’antiquario, gli dà il “colpo di grazia finale. La Morte non risparmia dunque nemmeno i personaggi potenzialmente complici delle Madri e dei loro servitori (presenze che si limitano a essere raffigurate da ombre, occhi giallastri, mani guantate o artigliate, o da volti di cui ci è negata la visione da un cambio di inquadratura o da un riflesso distorto): di questa categoria fanno parte appunto Kazanian, con le sue reticenze e ambiguità (e il suo odio verso i gatti, animali verso i quali le Madri sembrano avere un certo tipo di predilezione); il maggiordomo di Elise, John, e la portinaia, che sembrano in qualche modo responsabili della morte della contessa alla quale sottraggono i gioielli (la custode della dimora maledetta prepara anche incarti misteriosi di imprecisati pezzi di carne, destinati a qualcuno… come le cuoche e inservienti del collegio di “Suspiria”). Con “Inferno” Dario Argento ci regala dunque una ballata macabra, un mistero alchemico sottolineato dalla presenza di vari simbolismi e coronato da enigmi che si prestano ad essere affidati allo spettatore per la soluzione, con la presenza ossessiva dei quattro elementi: l’acqua, sotto forma di liquido amniotico che può cullare ma anche intrappolare, come nella scena della discesa di Rose nel misterioso “pozzo”, o sotto forma di pioggia che inzuppa i personaggi; la terra, qui più che altro intesa come strato inferiore che porta verso il “basso” ed i suoi segreti (il passaggio “sotto la suola delle tue scarpe”, lo scavare finale con lo svelamento dell’intercapedine); l’aria (il vento, onnipresente durante le fughe delle vittime e protagonista della bella sequenza dell’auditorio) e, infine, il fuoco. Fuoco non più purificatore, ma estensione dell’Inferno, nell’ultima immagine del film con la Morte trionfante. “Mater Tenebrarum, Mater Lacrimarum, Mater Suspiriorum, ignis vestri imagine inferorum recipiunt”, come recita il manoscritto dell’architetto/alchimista Varelli.

Recensione a cura di:

Commenti