- VELLUTO NERO (1976) di Brunello Rondi - recensione del film


Velluto nero (1976) di Brunello Rondi
Velluto nero (1976) è un esperimento di film erotico interessante solo per aver messo insieme Laura Gemser e Annie Belle (aveva appena interpretato il conturbante Laure, 1975), due bellezze così diverse e capaci di attirare molti spettatori. Rondi mette in atto pure lo stratagemma di chiamarle con i loro nomi di successo: Emanuelle e Laure, facendo uscire sul mercato inglese il film come Emanuelle Black & Withe. Nel cast troviamo anche la bella Susan Scott (Nieves Navarro), Zigi Zanger, Al Cliver (Pier Luigi Conti) e Gabriele Tinti. Non è un film memorabile, anche se presenta alcune trovate originali. La storia è molto debole e viene introdotta dalla frase tratta dagli antichi libri sacri babilonesi: “Il vento su cui si coricano il piacere e il vizio degli uomini è nero come la notte”. La musica di Dario Baldan Bembo è molto suggestiva e tipica del periodo storico, ma il montaggio di Bruno Mattei è lentissimo, così come la regia risulta poco ispirata.  Tanto per cambiare c’è molto nudo, spesso fine a se stesso, a differenza degli altri film di Rondi, dove il sesso serve per fare un discorso sociale o di denuncia. Nelle prime sequenze domina la bellezza di Susan Scott, che fa la doccia insieme a uno schiavo, si fa massaggiare e amoreggia a lungo. Arriva ad Assuan una troupe fotografica capitanata dal cinico Gabriele Tinti e si entra nel vivo del film. Ricordiamo le scene in cui la modella Laura Gemser viene fotografata nuda davanti alla carogna di un cane e subito dopo davanti a decine di cadaveri.
Il personaggio di Tinti è fumettistico e privo di spessore, è un fotografo senza scrupoli che ha inventato la diva Emaneulle e vuole che esegua i suoi ordini. A modo suo le vuol bene, ma è un uomo violento e amorale, che scatta foto oscene della modella mentre abbraccia lo scheletro di un cane e si esibisce in pose sexy davanti a un cadavere. Le foto scattate da Tinti in mezzo ai cadaveri ricordano i vecchi mondo movies e sono sequenze scioccanti, pure se tutto è finto. Laura Gemser nuda tra i cadaveri rappresenta il trionfo della vita in mezzo alla morte, pure se non condividiamo l’affermazione Il disgusto è educativo che il regista fa pronunciare a Tinti. Laura Gemser viene obbligata a posare nuda anche in mezzo ai rifiuti con lo scopo di realizzare un servizio sconvolgente che possa colpire i benpensanti. Tinti è una sorta di Toscani ante litteram. A un certo punto Annie Belle rapisce la Gemser e le due donne fuggono nel deserto e lasciano solo il cinico fotografo. Un discorso femminista, molto in voga nel periodo, porta alle solite considerazioni sul fatto che la donna non è un oggetto. Il rapporto lesbico Laure - Emanuelle occupa buona parte del film e alcune sequenze di amore saffico sono molto ben riuscite. Annie Belle e Laura Gemser sono brave e ben sfruttate. Gabriele Tinti e Al Cliver risultano patetici e fastidiosi. Susan Scott è una donna che ha avuto tre mariti e attende la figlia Laure, giovane disinibita che al suo arrivo scompiglia la vita del posto. Al Cliver è una specie di santone che riunisce sotto di sé un gruppo di fedeli europei, ma tra loro c’è anche un ex attore del muto  un po’ frocio (Fëdor Saliapin). Susan Scott è l’amante del santone e spesso la vediamo disinibita in molte scene di sesso e di fellatio appena accennate. Zigi Zanger è Magda, altra presenza erotica conturbante, che entra in scena a cavalluccio di uno schiavo e poi si abbandona a uno strip sensuale. Il suo ruolo è quello della bianca sadica e perversa che fa l’amore con gli indigeni dopo averli provocati. La sua parte è quella della ninfomane senza limiti che si fa scopare da tutti, pure da una carovana di nomadi. La Zanger si lascia andare anche a un bel rapporto lesbico con la Gemser sul sottofondo di una notevole retorica da figli dei fiori: “Tutta la vita è un rito. Quale rituale meglio della vita?”. Citiamo anche la scena del sogno di Laura Gemser che pensa di farsi accarezzare da molti uomini e quella del successivo sacrificio di un agnello (finto?) con la bella indonesiana che ne beve il sangue. La Gemser pare indemoniata ed è vittima di un rituale del santone Al Cliver, fino a strapparsi i vestiti e a tentare di uccidersi con il fuoco in mano. Alla fine il santone si innamora di Annie Belle e tra loro c’è una buona parte erotica, mentre la madre Susan Scott minaccia il suicidio se la figlia porterà via il suo amante. Si tratta solo di una sceneggiata che la figlia ridicolizza al punto giusto per poi andarsene mano nella mano con Emanuelle. Il finale vede le due attrici che si allontanano nel tramonto e si denudano poco a poco. Il film mantiene una bella atmosfera esotica e un’ottima colonna sonora, le parti erotiche sono abbastanza credibili, ma la trama è inconsistente e il ritmo è fiacco. Da citare una bella fotografia egiziana curata da Gastone Di Giovanni con alcune scene che si svolgono in mezzo ai templi. Rondi fa sfoggio di cultura citando a più riprese Calderon e La vita è sogno, ma la pellicola ha tempi da documentario e non appassiona lo spettatore. Il film rappresenta un opera di culto per gli amanti del trash e del kitsch, soprattutto per il clima da figli dei fiori che vi si respira. La pellicola risulta slegata, frammentaria e a tratti persino delirante, ma se volete vederla consigliamo la VHS edita da Lamberto Forni. Ultima prova cinematografica di Brunello Rondi che firma pure la sceneggiatura su un soggetto di Ferdinando Baldi. Il film si inserisce nella serie Emanuelle girata da Joe D’Amato, ma ne rappresenta un capitolo apocrifo slegato dalle altre pellicole. Mereghetti si chiede se siamo di fronte a un consapevole suicidio d’autore o a un involontario trionfo del kitsch. Non è facile dirlo.
VELLUTO NERO (1976) di Brunello Rondi - fotobusta

   La voce (TV – 1981) è l’ultima opera di Brunello Rondi, ma sarebbe meglio dimenticarla visto che c’entra davvero poco con il resto della sua produzione. Il film presenta come sottotitolo Infanzia e giovinezza di madre Teresa di Calcutta ed è tutto dire, se si pensa all’anticlericalismo sessantottino dei primi film di Rondi. Si tratta di un film televisivo scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Tullio Pinelli, fotografato da Zivko Zalar, montato da Vincenzo Di Santo e musicato da Stelvio Cipriani. La produzione è di Rai Uno in collaborazione con Jadran Film di Zagabria. Interpreti: Marisa Belli, Bekim Fehmiu, Margaret Mazzantini, Liliana Tari, Georgi Teodorovski e Rossano Brazzi. Difficile vedere questo film presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 1982, passato su Rai Uno e subito dopo scomparso. Marco Giusti ironizza sulla necessità sentita da Rondi di farsi perdonare dalla chiesa per i precedenti peccati commessi girando film erotici. Giovanni Buttafava su Il patalogo lo definisce un involontario cult - movie sulla vocazione di Madre Teresa di Calcutta, girato come un fumetto devoto. Preferiamo ricordare Rondi per l’erotismo intellettuale di Tecnica di un amore, per la trasgressione di Ingrid sulla strada e per la profondità psicologica di Valeria dentro e fuori. La cifra artistica di Rondi sta tutta nel sapersi barcamenare tra cinema d’autore e tentazione verso i generi, senza mai optare in maniera definitiva per una sola strada.

Regia: Brunello Rondi; Soggetto: Ferdinando Baldi [Fred Baldwyn]; Sceneggiatura: Brunello Rondi; Interpreti: Laura Gemser (Emanuelle), Annie Belle (Laure), Pier Luigi Conti [Al Cliver] (Antonio), Gabriele Tinti (Carlo), Susan Scott (Christal), Feodor Chaliapin jr. (Hal Burns), Zigi Zanger (Magda), Tarik Alì (Alì); Fotografia: Gastone Di Giovanni; Musica: Dario Baldan Bembo; Scenografia: Walter Patriarca; Montaggio: Bruno Mattei; Produzione: Rekord Film Distributor; Distribuzione: C.I.D.I.F.; censura: 68813 del 29-07-1976

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