A SUON DI LUPARA (1967)

Regia/Director: Luigi Petrini
Soggetto/Subject: Luigi Petrini
Sceneggiatura/Screenplay: Luigi Petrini, Angelo Sangermano, Marino Onorati
Interpreti/Actors: Lang Jeffries (Claudio Lacroix), Annabella Incontrera (Lucienne), Femi Benussi (Roberta), Luciana Paoli (Agata), Giancarlo Del Duca (Richard), Grazia Di Marzà, Paolo Todisco, Paola Pitti, Gianni Ridolfi, Armando Del Vecchio, Nino Vingelli, Antonio Toma, Ugo Carboni, Mario De Rosa, Lino Banfi, Gina Mascetti, Luisa Giulietti
Fotografia/Photography: Guglielmo Mancori
Musica/Music: Benedetto Ghiglia
Costumi/Costume Design: Oscar Capponi
Scene/Scene Design: Alberto Boccianti
Montaggio/Editing: Daniele Alabiso
Suono/Sound: Goffredo Salvatori
Produzione/Production: Morrisfilm
Distribuzione/Distribution: Indipendenti Regionali
censura: 50090 del 20-10-1967

"Il procuratore della Repubblica Claudio Chiaramonti (Lang Jeffries), ritorna in Sicilia dopo le nozze con Lucienne (Annabella Incontrera), affascinante parigina ben disposta e anzi felice di seguirlo nella calda, in tutti i sensi, isola dove l’uomo vive e lavora. L’assunto è chiaro fin dalla fine dei titoli di coda: due uomini vengono uccisi a colpi d’arma da fuoco e campeggia il cartello “Benvenuti in Sicilia”. -Per me la Sicilia è cominciata ad esistere da quando ti ho conosciuto.-, dice entusiasta Lucienne al marito, appena arrivati. E al principio tutto sembra incantevole. Lucienne è affascinata dal luogo e Claudio è subito immerso nel lavoro. Il suo impegno non consiste solo in uno sterile servizio della giustizia: egli porta avanti una ferrea battaglia contro l’atmosfera locale, retrograda e quasi da clima feudale, come egli stesso definisce, che quotidianamente ostacola il regolare rispetto della legge.

La numerosa famiglia Chiaramonti accetta di buon grado l’ultima arrivata, che fa presto amicizia con Roberta (Femi Benussi), sorella minore del marito, donna dallo spirito libero, sganciato dalle tradizionali e perbeniste convenzioni. Peccato che Richard, amante di Roberta, sia uno sconsiderato che prima tenta di sedurre Lucienne, e poi s’approfitta di lei drogandola in occasione di un party orgiastico. Lucienne rimane incinta, ma desidera continuare la gravidanza. Claudio, che non poteva darle un figlio, non accetta che il nome della prestigiosa famiglia possa un giorno esser ereditato da un “bastardo”, e la spinge all’aborto. In breve tempo la notizia si sparge in paese, che punta severamente il dito sulla povera donna, due volte vittima dell’opprimente e ipocrita giudizio locale. Chiaramonti è impegnato nell’accusa di un uomo che ha ucciso la moglie poiché infedele, e che ora tenta di avvalersi dell’attenuante del delitto d’onore. Da uomo progressista qual è, e sdegnato che ancora nel codice penale sia contemplata la presenza di tale aberrazione, oltretutto abusata per coprire barbari delitti, il procuratore deve non solo combattere una battaglia affinché all’accusato venga attribuita una completa condanna, ma lottare con sé stesso e adeguare il proprio spirito di comprensione anche nei confronti della consorte.
Realizzato nel periodo in cui uscivano A CIASCUNO IL SUO di Petri (’67) e IL GIORNO DELLA CIVETTA di Damiani (’68), importanti film di denuncia del fenomeno mafioso in Sicilia, A SUON DI LUPARA, anche se tra i dialoghi lascia comparire la parola “mafia”, si concentra maggiormente sul tentativo di delineare il retrogrado quadro di una Sicilia omertosa, ancorata ai pregiudizi, credenze superstiziose, e lo sgradevole pettegolezzo in stile “tutti sanno ma nessuno ha visto”, “ognuno ha colpe ma si condanna chi da scandalo”. Chi si aspetta un poliziesco o un mafia-movie resta deluso, come potrebbe ingannevolmente far pensare il violento titolo: la sceneggiatura si concentra sulla denuncia sociale e sul dramma personale del procuratore e soprattutto della moglie Lucienne, prima madre mancata, e poi perno dello scontro tra diverse culture. Sebbene alcuni momenti di superficialità iniziale in cui sembra che la storia non sappia dove andare a parare, anche a causa di alcuni passaggi grotteschi che sfiorano la commedia, viene restituita, in particolare nella seconda parte, l’irritante atmosfera di un microcosmo arretrato che fa schiavo e provoca claustrofobia in chiunque vi si accosti; che crea mostri d’ignoranza perpetuati da generazioni, inconsapevoli ignoranti schiavi di un progresso mancato. Lucienne è la vittima deputata, parigina di nascita, cresciuta nella progredita Francia, ma comunque brava ragazza dalle oneste intenzioni, offesa da un sistema ipocrita, che prima la coinvolge in festini a base di sesso e droga, e poi la giudica come “una che non genera” (quando in realtà la sterilità è data dal marito) quindi che “non vive”, che viene additata come “svergognata” se si reca in chiesa a cercare un po’ di conforto, una per cui “ci vorrebbe un colpo di lupara”.
Interessanti queste due sequenze, orgia e chiesa, le uniche in cui la regia di Petrini, sempre piuttosto convenzionale ed elegante, si lascia andare a giochi di inquadrature caleidoscopiche, roteanti, zoom e fuori fuoco. C’è una piccola parte per Lino Banfi, doppiato da Ferruccio Amendola. Qualche voce ha asserito l’inutilità della Benussi in un ruolo decisamente casto, contrapposto ai molti, più discinti, per i quali risulta maggiormente nota. Un errore, un giudizio affrettato, un pregiudizio anche questo, quello di “inquadrare” un attore, uomo o donna che sia, in base allo stereotipo di personaggio, in quanto limitante per lo stesso. Femi, qui castissima, offre in compenso buone doti recitative, quelle che forse troppi ruoli osé hanno lasciato nel tempo in secondo piano (come non ricordarla in UCCELLACCI E UCCELLINI di Pasolini?)."

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