IL CORPO DELLA RAGASSA (1979)

Regia/Director: Pasquale Festa Campanile
Soggetto/Subject: Enrico Oldoini, Alberto Lattuada, opera
Sceneggiatura/Screenplay: Enrico Oldoini, Ottavio Jemma
Interpreti/Actors: Enrico Maria Salerno (prof. Ulderico Quario), Lilli Carati (Teresa Aguzzi, detta Tirisin), Renzo Montagnani (Pasquale), Marisa Belli (Cecchina), Elsa Vazzoler (Caterina), Clara Colosimo (ruffiana), Nino Bignamini (Erminio Alvarini), Luigi Pernice (Giovanni), Giuliana Calandra (Laura Marengo), Tom Felleghi (ospite), Renzo Montagnani (Pasquale Aguzzi)
Fotografia/Photography: Giuseppe Ruzzolini
Musica/Music: Riz Ortolani
Costumi/Costume Design: Ezio Altieri
Scene/Scene Design: Ezio Altieri
Montaggio/Editing: Alberto Galitti
Suono/Sound: Domenico Dubbini
Produzione/Production: Filmauro
Distribuzione/Distribution: Titanus
censura: 73968 del 13-09-1979

Pasquale Festa Campanile è spesso ricorso a trasposizioni cinematografiche da romanzi o racconti, saccheggiandone il più possibile l’aspetto erotico o scollacciato. E’ stato il caso tra i tanti di Scacco alla regina (recensito da poco su questo stesso blog, n.d.r)  o del Merlo maschio.
Il corpo della ragassa (1979) è uno tra quei film della lista, tratto dal romanzo omonimo di Gianni Brera, edito dieci anni prima. Campanile, sembra più che mai dare l’impressione in questo film di utilizzare e banalizzare il romanzo quasi esclusivamente come pretesto per imbastire la storia di una servetta timida e sottomessa (motivo già apparso in Scacco alla regina), con guizzo femminista finale nella cornice storica dell’ Italia degli anni’30.

Il corpo della ragassa , film e romanzo, ha un’ ambientazione padana (“ragassa” è proprio una licenza dialettale della bassa Lombardia). La protagonista è una ingenua (ma davvero ingenua?) campagnola, Teresa Aguzzi, detta Tirisìn, sulla quale si concentra compiaciuto l’occhio del regista, che si mette al suo servizio; è interpretata da Lilli Carati, vera attrattiva del film. Suo partner co-protagonista è Enrico Maria Salerno  che impersona il dottor Ulderico Quario, un Salerno laido e viscido, ricco e borghese, con il suo consueto savoir-faire inglese dai modi molto affettati, che non fa fatica a nascondere il desiderio di concupire la “ragassa” di campagna, avvistata per caso per le strade di Pavia, dove la vicenda è ambientata.
Ottenendo la complicità della maitresse di un bordello che frequenta e sfruttando la sua condizione di povertà, Quario assume Tirisìn a servizio, con l’obiettivo di approfittarne sessualmente oltre che disporre di una cameriera tuttofare.
La ragazza diciannovenne è vergine, ignorante, goffa e sprovveduta, fa fatica a ingranare, sulle prime neanche ha lontanamente sentore dei secondi fini del suo padrone. Poi piano piano Quario cerca di educarla al ruolo della signora di classe, ma anche a puttana da salotto, con la compiaciuta convinzione di farne una donna-oggetto da esibire in pubblico.
E qui la storia si indirizza, rispetto all’originale, verso soluzioni abbastanza retoriche e scontate, con Tirisìn che fattasi furba è lei a prendere il coltello dalla parte del manico e incastra a dovere Quario, che nel frattempo, si accorge sul serio di essersi innamorato di lei. Prima rimane incinta, ma poi è tutta una menzogna, mentre nel romanzo si parla di aborto.
Ulderico muore d’infarto e il riscatto tutto al femminile del finale, dà una sferzata al sessismo fascista, ma è raffazzonato, troppo allegro e scanzonato, tradendo così quello del libro, che lascia il lettore in sospeso. Vi sono anche altre licenze che non migliorano di certo il film, tra cui l’idea di trasformare la prostituta Cecchina (Marisa Belli), ospite a casa di Tirisìn, da paesana pavese a coatta romana (che c’azzecca?) o di rinunciare alla prima parte del libro, più descrittiva della famiglia della protagonista e dei costumi contadini, così ad alcuni personaggi di contorno, come Erminio, lo spasimante di Tirisìn.
La stessa “ragassa” corrisponde secondo Brera a una caratterizzazione agli antipodi rispetto a Lilli Carati, la quale sembra piuttosto una sanguigna e ruspante cameriera andalusa. Ecco un passo di Brera: Tirisìn è uno sgorbio di ragazza con le spalle curve e magre, le gambe lunghe e ossute, gli occhi da matta (…)il sorriso è la smorfia di una che sta per mettersi a piangere (…) i capelli (…) sono d’un biondo ramato che incanta.
Campanile, invece, ha voluto costruire, attraverso Lilli Carati, insieme agli sceneggiatori Enrico Oldoini, Ottavio Jemma e Alberto Lattuada, un film modaiolo ma con pretese d’ autore (l’apporto di Lattuada non si fa sentire), facendololo scivolare verso una piega, come al solito, un po’ morbosetta: in questo senso la recitazione di Enrico Maria Salerno si fa alquanto complice nell’intento! La Carati ce la mette tutta, ma il doppiaggio le mette in bocca la voce neutra di Vittoria Febbi, già sentita ed incolore. La scena-chiave del film, che è anche la più erotica, è, comunque, la visita medica di Tirisìn nello studio del professor Quario, anche in questo caso decisamente accorciata rispetto al libro (ma le scene che contano, rimangono) e un poco rovinata dalla presenza di Marisa Belli che assiste impassibile e complice pronunciando quel fatidico sacrosanto professò!
Anche lo score di Riz Ortolani dei titoli di testa e di coda annuncia una commedia scollacciata, non un romanzo padano dai toni anche drammatici. Pasquale Festa Campanile sembra spudoratamente aver cercato di salvare capre e cavoli, strizzando l’occhio ai guardoni (sempre di occhi parliamo…)


Recensione a cura di :
Guido Colletti

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