LA MARCIA SU ROMA (1962)


Regia/Director: Dino Risi
Soggetto/Subject: Agenore Incrocci [Age], (Furio) Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara
Sceneggiatura/Screenplay: Agenore Incrocci [Age], (Furio) Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara
Interpreti/Actors: Vittorio Gassman (Domenico Rocchei), Ugo Tognazzi (Umberto Cavazza), Roger Hanin (cap. Paolinelli), Angela Luce (contadina), Gérard Landry (capitano dell'esercito), Mario Brega (Marcacci), Giampiero Albertini (Cristoforo), Antonio Cannas (Zofreghin), Nino Di Napoli ("Mezzacartuccia''), Alberto Vecchietti (Molinello), Claudio Peroni, Howard Rubiens (prof. Milziade Bellinzoni), Nando Angelini, Daniele Vargas ("Sua Eccellenza"), Edda Ferronao (ostessa), Carlo Kechler (latifondista), Liù Bosisio (Adelina), Antonio Acqua (direttore carcere)
Fotografia/Photography: Alfio Contini
Musica/Music: Marcello Giombini
Costumi/Costume Design: Ugo Pericoli
Scene/Scene Design: Ugo Pericoli
Montaggio/Editing: Alberto Gallitti
Produzione/Production: Fair Film, Orsay Films, Paris
Distribuzione/Distribution: De Laurentiis
censura: 39071 del 14-12-1962
Altri titoli: La marche sur Rome

Domenico Rocchetti e Umberto Gavazza vivono in prima persona, dal 1919 al 1922, le vicende che vanno dalla genesi del movimento fascista alla marcia su Roma che ne ufficializzerà la valenza politica. Rocchetti è un reduce della prima guerra mondiale, squattrinato e sbandato, che vive a Milano.
Lui, romano di nascita, incontrerà, dopo essere stato di forza arruolato nelle prime milizie fasciste, l'ex commilitone Gavazza, bracciante bergamasco, disoccupato e cacciato di casa dai suoi parenti. I due inizieranno un lungo cammino all'interno delle contraddizioni  quasi macchiettistiche del nascente partito, finiranno in prigione per esso e, liberati poi dai loro camerati, parteciperanno alla marcia su Roma del 1922. Prima di entrare nella capitale, città chiusa e poi aperta dall'esercito al passaggio delle avanguardie squadriste, assisteranno, loro malgrado, all'omicidio di un ferroviere per mano di un camerata.
Capita, alfine, la natura del nascente fascismo, abbandoneranno l'avventura per tornare nei ranghi borghesi.
Dalla sapiente sceneggiatura a sei mani, tra le quali quelle di Age, Scarpelli ed Ettore Scola, il regista Dino Risi ha saputo trarre molti elementi che rendono il film godibile da diversi punti di vista.
Il primo è il risultato "di genere". Il film entra di diritto nel filone della commedia all'italiana che, in quel periodo, siamo nel 1962, caratterizzava molti lavori di registi famosi. Penso allo stesso Risi, a Monicelli, Steno, Loy, Germi, Scola, Zampa e tanti altri.
Hanno rappresentato sullo schermo i vizi, le passioni, le virtù e i difetti degli italiani di ogni tempo. La comicità è ironia e ha un vestito amaro, talvolta tragico. I sorrisi degli spettatori di fronte alle scene più leggere, spesso, lasciano il passo alla amarezza di tanti ruoli degli attori così riconoscibili nei comportamenti della gente per le strade delle città, nelle case, o addirittura in quelli  personali. Comicità volontaria che ebbe tanto successo perchè specchio dell'italico modo di relazionare.
Il secondo punto di vista evidenzia le puntuali caratterizzazioni dei personaggi che assumono connotati fisici e carratteriali ben definiti come la commedia comanda. Mi viene in mente il Monicelli de "La grande guerra",  de "I soliti ignoti" o de "L'armata Brancaleone", lo Steno dei tanti film con Totò, il Risi de "I mostri" o "Il sorpasso"  e Scola di "Brutti, sporchi e cattivi" e "C'eravamo tanto amati". Seppero imporre stilemi e paradigmi cinematografici che influenzarono tante stagioni e tanti spettatori. Segnarono quel periodo della vita culturale italiana in cui nei bar, nelle case e negli uffici si parlava, tra l'altro, di film, di attori e attrici e di registi con perizia ed interesse. Quanta malinconia e rabbia, oggi, di fronte al televisivo decadimento nei reality, nelle tribune del niente e nelle fiction da scuola elementare.
Risi guida Gassman, reduce  che affronta la crisi economica del primo dopo guerra mondiale, ne esalta i contorni cialtroni, ma è capace di redimerlo nel finale; guida Tognazzi con la sua natura contadina, lo rende scettico e concreto. Si prestano ad una recitazione semplice, non retorica; non devono percepire e non coglieranno l'importanza del fatale momento storico che stanno vivendo; lo apprezza bene, invece, lo spettatore, ma con il ritardo temporale della tragedia già avvenuta.
A completamento del quadro, tanti attori bravi per piccoli o medi episodi; da Mario Braga nel capo squadrista assassino Marcacci "Mitraglia", a Giampiero Albertini cognato "rosso" di Gavazza, da Angela Luce contadina a Daniele Vargas "sua eccellenza", fino al più impegnativo ruolo di Roger Hanin, capitano Paolinelli, sorta di intelligente risultato di uomo cresciuto nella guerra e ora alla ricerca di improbabili riscatti.
Il terzo punto di vista è quello storiografico. Alla loro maniera gli sceneggiatori ed il regista interpretano quel periodo storico che portò alla affermazione del regime che governò l'Italia per circa venti anni fino alla seconda guerra mondiale.
Nel 1962, pur in pieno boom economico con qualche paura di congiuntura, il ricordo del passato è ancora molto vivo e l'argomento va trattato con cura o, appunto, con ironia.
Partendo dai buoni propositi di un volantino che espone il programma del nascente movimento nero, pieno di promesse, di attese grandi riforme e di rivoluzioni sociali, nei vari episodi emerge dalla bocca dei due protagonisti che tutte le aspettative rimarranno sulla carta. Ai due reduci, testimoni, nel loro piccolo, della dura realtà che nega la terra ai contadini, che nega la libertà di stampa, che nega la Repubblica, che nega le libertà più elementari, non rimane che cancellare, rigo per rigo, tutte le false promesse. Come non pensare alla realtà degli anni venti, a quella degli anni '60 e alla nostra dei primi anni 2000.
Tutto è rappresentato con ironia mesta: l'inerzia del re e dell'esercito, la complicità di intellettuali, industriali e latifondisti che permettono e favoriscono il naturale svolgersi degli eventi.
Risi racconta con tono minimo, sottile, facendo cogliere ai suoi attori i particolari del progetto fascista più grande e, alla fine, capiranno, grazie al disgraziato omicidio di un ferroviere da parte di Marcacci "Mitraglia", la violenza del lupo vestito da agnello. Usciranno da quel teatro troppo tardi e ci ritorneranno, ancora inconsapevoli borghesi, per accettarlo fino all'epilogo finale.
Magnifica fotografia in bianco e nero vivo e caldo; montaggio da apprezzare.
Girato con budget contenuto, venne giudicato così dallo stesso Risi: "Non mi pare un film riuscito, non era cotto bene". Non condivido il giudizio perchè ritengo che il film sia da rivedere ed apprezzare per capire, più oggi che all'epoca in cui fu girato, con tutti i limiti della sceneggiatura e della verità storica, quale genesi abbia generato quel regime che tanto condizionò la vita dell'Italia del novecento e trarre le dovute conclusioni, magari con un buon libro di storia a supporto.

Frasi da ricordare:
-Rocchetti a Gavazzi: "O Roma o Orte" per fuggire  e prendere qualche direzione a parodia del più famoso: "O Roma o morte".
-Nella scena finale dialogo tra Vittorio Emanuele III e L'ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel davanti ai fascisti che sfilano davanti al Quirinale:
Vittorio Emanuele: " Ammiraglio,spassionatamente, cosa ne pensa di questi fascisti? Crede che mettiamo il paese in buone mani? Mi dica fuori dai denti quale è il suo parere, perchè siamo ancora in tempo a sbatterli fuori, neh!"
Ammiraglio Thaon di Revel: " Spassionatamente, Maestà, mi sembra gente seria."
Vittorio Emanuele: "Ma sì, proviamoli per qualche mese!".

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