L'ARMATA BRANCALEONE (1966)



Regia/Director: Mario Monicelli
Soggetto/Subject: Agenore Incrocci [Age], Furio Scarpelli, Mario Monicelli
Sceneggiatura/Screenplay: Agenore Incrocci [Age], Furio Scarpelli, Mario Monicelli
Interpreti/Actors: Vittorio Gassman (Brancaleone da Norcia), Catherine Spaak (Matelda), Gian Maria Volonté (Teofilatto dei Leonzi), Maria Grazia Buccella (vedova), Barbara Steele (Teodora), Enrico Maria Salerno (Zenone il santone), Carlo Pisacane (Abacuc), Folco Lulli (Pecoro), Ugo Fangareggi (Mangold), Pippo Starnazza (Paladino, l'anziano della città marinara), Fulvia Franco (commensale festa di Guccione), Luis Induni (capitano di Guccione), Gian Luigi Crescenzi (Taccone), Alfio Caltabiano (Arnolfo Mano-di-Ferro), Joaquin Diaz (Guccione), Carlos Ronda, Luigi Sangiorgi, Juan G. Carlos, Pablo Tito Garcia, Philippa de La Barre de Nanteuil
Fotografia/Photography: Carlo Di Palma
Musica/Music: Carlo Rustichelli
Costumi/Costume Design: Piero Gherardi
Scene/Scene Design: Piero Gherardi
Suono/Sound: Guido Ortensi
Montaggio/Editing: Ruggero Mastroianni
Produzione/Production: Fair Film, Films Marceau, Paris
Distribuzione/Distribution: Titanus
censura: 46834 del 07-04-1966
Altri titoli: L'armée Brancaleone, La armada Brancaleone, Branca Leone

ATTENZIONE LA SEGUENTE RECENSIONE CONTIENE DEGLI SPOILER SULLA TRAMA!
Trama: Il film si apre con scene di violenza da western. E' l'attacco di un gruppo di barbari ad un villaggio nell'Italia centrale in epoca medievale. Mani mozzate,lance che trafiggono i corpi degli innocenti, fanciulle terrorizzate ed inseguite dall'orda ungara. Dalla carneficina si salvano quattro miserabili: il vecchio giudeo Abacuc, il grosso Pecoro, lo scudiero Mangold e il furbo giovane Taccone. Nella desolazione del borgo distrutto si appropriano di un documento redatto dall'imperatore Ottone I il grande che assegna al possessore il feudo di Aurocastro in Puglia.
Il prezioso foglio imperiale, parzialmente rovinato, è stato sottratto ad un nobile che ha avuto la peggio nel tentativo di salvare il paese; pare ora morto e viene così derubato. I quattro ladruncoli si mettono alla ricerca di un nobile uomo al quale offrire, contro ricompensa, il sogno del nuovo casato; si imbattono in Brancaleone da Norcia, sorta di virtuoso cavaliere, ma spiantato poichè, in tenera età, era stato privato dei suoi possedimenti e beni. Dopo aver sdegnosamente rifiutato l'offerta rimedia l'ennesima umiliazione in un torneo cui partecipa ed è costretto, suo malgrado, ad accettare la regale proposta. Brancaleone aggrega la piccola compagnia ai suoi ordini e, con essa, parte alla volta del vacante feudo di Puglia. La brigata, nel viaggio di avvicinamento, viene raggiunta da un principe bizantino senza arte nè parte, tal Teofilatto dei Leonzi che si unisce a loro. Giunti nei pressi di una città deserta, con raccapriccio, si accorgono che è infestata dalla peste e, fuggendo dal contagio, proseguono il cammino con un gruppo di pellegrini che si stanno recando a Gerusalemme per liberare il Santo Sepolcro, guidati dal monaco Zenone ( Pietro l'eremita ). Nei pressi di un ponte perdono il robusto Pecoro che precipita nel fiume sottostante, battezzano il "giudio" Abacuc con il nome di Mansueto perchè creduto portatore di disgrazie a causa della sua religione. Anche il monaco Zenone non scampa al suo destino precipitando da un altro ponte.
Liberi da ogni vincolo e lasciati i santi viandanti, Brancaleone, dentro una boscaglia, salva da un agguato la principessa Matelda, promessa sposa al nobile Guccione, signore di terre vicine. Matelda si innamora di Brancaleone che la respinge poichè già vincolata con Guccione; prima di arrivare a destinazione la giovane nobildonna si concede a Teofilatto, laido serpente tentatore, suscitando così le omicide ire del castellano dopo la prima notte di nozze. Brancaleone viene recluso dentro una gabbia di ferro, ma subito liberato dai suoi fedeli con l'aiuto del fabbro Manuc che, assillato dalle sue pene d'amore, stava per suicidarsi. Il cavaliere, pazzo d'amore, raggiunge la ripudiata Matelda nel convento che ha scelto per espiare le colpe fredifraghe. Scorre sangue nell'eremo tra Brancaleone e i soldati di Guccione e, dopo essere respinto definitivamente dalla ritrovata amata, riprende, con Manuc aggregato, il viaggio verso il feudo agognato. Trovandosi vicini alle terre bizantine della famiglia di Teofilatto, fingendo di tenerlo in ostaggio, raggiungono la corte dei Leonzi che non accettano trattative per liberare il congiunto e rischiano la vita per fuggire. Prima di arrivare a destinazione ritrovano Pecoro, curato affettuosamente da un'orsa e perdono Abacuc che muore di vecchiaia. Gli abitanti del borgo di Aurocastro, ove finalmente giungono, li accolgono con entusiasmo e festeggiamenti sospetti. Il nuovo duce, preso possesso della roccaforte, deve, presto, contrapporre il minuto gruppo agli assalti dei pirati saraceni venuti a depredare i raccolti e i beni locali. Il lembo mancante della pergamena prevedeva proprio l'impegno alla difesa da parte del feudatario. I pirati hanno la meglio della derelitta accozzaglia che viene salvata, in ultimo, da un guppo di cavalieri cristiani il cui capo è il nobile creduto morto all'inizio della storia e beneficiario dei diritti assegnati dall'imperatore. La vendetta è terribile: Brancaleone e i suoi vengono condannati ad essere impalati e arsi al rogo. Solo la misericordiosa comparsa del ritrovato monaco Zenone convince il nobile a liberare tutti a patto di mantenere il voto di recarsi in Terrasanta per combattere gli infedeli e liberare il Santo Sepolcro.
Aquilante! A lo monasterio! Ratto come la folgore!
E' Brancaleone da Norcia che sprona il proprio cavallo ronzino di colore giallo, in pieno medioevo, per raggiungere la pulzella violata Matelda nel monastero e prometterle, invano, amore eterno.

"L'armata Brancaleone" fu, nel 1966, il film campione d'incassi, il più visto nel panorama del cinema popolare. Non d'essai, come subito ipotizzato da critici strabici, ma nelle sale di tutta l'Italia.
Fu un film "rivoluzionario" in anni, gli anni '60, già forieri di cinematografia che rompe le tradizioni. Dalla Francia della Nouvelle vague, all'Italia dei film di impegno, della commedia all'italiana, dei western, delle opere prime di tanti giovani registi di valore, alla Germania dei giovani Fassbinder, Herzog e Wenders, al Giappone di Ozu e Oshima, agli Usa pre-new Hollywood di Corman, Nichols, Hopper, Coppola, fino ai primi Romero e Peckinpah, è tutto un vulcano di sperimentazioni, di buone idee, e di grande partecipazione da parte del pubblico.
Si legge che "L'armata Brancaleone" fosse tra i film e, addirittura, il film più amato da Monicelli che ha attraversato generi e tematiche lungo tante generazioni di suoi appassionati estimatori.
Nel forziere dei 114 minuti di durata mette tanti diamanti, tutti insieme, che, a turno e in ordine sparso, verranno ripresi da molti altri registi futuri. Non genera correnti, ma alimenta emulazioni continue nel tempo.
La sceneggiatura è a tre mani: Monicelli, Age e Scarpelli. Age è più rivolto a tratteggiare le situazioni e gli avvenimenti filmici, Scarpelli più a definire i personaggi e i ruoli. Insieme inventano quel nuovo linguaggio, un pò inventato, un pò dialettale, un pò lingua autoreferente. Latino spurio e italiano imbastardito, falso aulico e falso volgare chè darà, per sempre, originalità alla pellicola.
Tra "l'omo a lo mio servizio non teme nè piova, nè sole, nè foco, nè vento" a "Fanci vedere chi semo, duce" e "Longo lo cammino, ma grande è la meta; contro il saracino, seguiamo il profeta-vade retro satàn" e mille altre lo spettatore prende gusto al nuovo linguaggio che entra nel ricordo e affetto popolare.
I tre scrittori costruiscono un Medioevo in decomposizione, assalito dalle orde barbariche e dai musulmani predoni, non più difeso dagli imbelli bizantini. Epoca degradata, troppo simile alla nostra per non scorgervi similitudini. Periodo buio come molti libri di storia ci hanno fatto credere colpevolmente che può, però, riscattarsi. Età storica rilanciata dall'uomo del coraggio e della speranza, sia egli cavaliere, prete, nobile o servo. Qui ci sono le premesse del riscatto pieno nell'Umanesimo dopo l'oblio della caduta dell'impero romano.
Il film ha un filo conduttore: il viaggio della sgangherata brigata verso il sud, questa volta ricco di messi e di ricchezza; è un road-movie appiedato dove si intreccia tanto cinema e tanti avvenimenti spesso non legati fra di loro. Possiamo definirlo un film a episodi che si rincorrono, si compensano nella coerente linea del racconto diegetico.
Film di molti frammenti che dà l'opportunità agli attori di prendersi, a turno, tanto spazio. Film di protagonisti (Gassman, Volontè, Salerno) e di solidi caratteristi che qui assurgono a loro volta a veri co-protagonisti per la loro importanza nel profilmico.
Pisacane/Abacuc, Crescenzi/Taccone, Fangareggi/Mangold, Spaak/Matelda, Lulli/Pecoro, Steel/Teodora, Buccella/la vedova e Sangiorgi/Manuc hanno dato un fondamentale contributo di recitazione e sono entrati di diritto nell'immaginario della storia del film.
Gassman è il mattatore e Brancaleone, grazie a lui, si veste da errante Don Chisciotte con i suoi quattro sancio panza, da coraggioso samurai, da virtuoso cavaliere. E' un personaggio positivo, senza macchia nè paura che apre alla speranza che l'uomo, con il coraggio, ce la farà a riscattarsi. Vale per noi e il nostro futuro.
Volontè che Monicelli non voleva a favore di Raimondo Vianello, fu inserito di forza da Mario Cecchi Gori, produttore, dopo i successi leoniani. E' il bizantino di carattere inconsistente, utilitarista e tiepidamente carogna come si addice alla sua discendenza.
Salerno è il monaco sopra le righe con voce in falsetto che va in terrasanta; poi, per lui, verrà Steno e il suo "La polizia ringrazia" a rendergli duraturo successo.
Segnalazione a parte merita il cavallo di Brancaleone, anche lui protagonista, testardo ronzino dipinto giornalmente di giallo dalla troupe. Cavallo colorato per alcune scene fondamentali.
La fotografia macchia di tinte fortissime molti elementi della scenografia (tende, vestiti, particolari, ecc.) in un sottofondo più tenue. Sfarzosi i costumi.
La musica di  Carlo Rustichelli è strepitosa e i titoli di testa, originali, preparano all'eccitazione dello spettacolo.
Dunque il film può essere avvicinato, ancorchè in costume, alla commedia all'italiana perchè presenta tanti suoi stilemi. E' un contenitore di avventura, crudezza, azione e farsa. Non manca la morte, ripresa più a fondo e contestualizzata nell'altrettanto fortunato seguito "Brancaleone alle crociate" del 1970. Sequel che, per una volta, non fa rimpiangere l'originale.
Se si vuole veder raccontare una storia a misura delle cose italiane, dei pregi e difetti della italica umanità, questo è il film giusto.
Se si vuole sorridere, anche amaramente, e godere di un'invenzione raffinata, girata con talento e mestiere, "L'armata Brancaleone" non è da perdere.
Consiglio anche la lettura del bel libro "L'armata Brancaleone-un film di Mario Monicelli-quando la commedia riscrive la storia" a cura di Stefano Della Casa edito da Lindau del 2005.

Recensione a cura di:
Dino Marin | Crea il tuo badge

Commenti