IL PADRONE DEL MONDO (1983)



Regia/Director: Alberto Cavallone
Soggetto/Subject: Nicolò Pomilia
Sceneggiatura/Screenplay: Alberto Cavallone, José Luis Martinez Molla
Interpreti/Actors: Sven Kruger (Bog), Sasha D'Ark, Maria Vittoria Ghirlanda, Maria Viviana Rispoli, Aldo Sambrell, Liliana Rispoli
Fotografia/Photography: Sandro Mancori, Maurizio Dell'Orco, Gianfranco Maioletti
Musica/Music: Alberto Baldan Bembo
Montaggio/Editing: Alberto Cavallone
Produzione/Production: Falco Film (1982)
censura: 79044 del 23-07-1983

“Il Padrone del mondo “ narra le vicende di Bog, un cacciatore preistorico rimasto ferito durante il tentativo di recuperare l'immagine del sacro orso rubata alla sua tribù. Dopo essere stato salvato, inizierà insieme ai suoi soccorritori una guerra contro il clan avversario di Akray.
Nel film è ravvisabile –ad una prima lettura- un chiaro intento di carattere antropologico, ossia mostrare il progresso dell’uomo nella conquista della terra e della donna, ma si può trovare anche una dimensione marcatamente politica. 
Bog è un primitivo decisamente diverso dai suoi simili, in quanto possiede l’uso di un (rudimentale) linguaggio, mentre i suoi nemici si esprimono solamente attraverso versi. Inoltre, mentre la tribù di Arkray combatte con clave, quella di Bog utilizza fionde create appositamente per lo scontro. Bog rappresenta la nuova generazione, portatrice dell’ingegno e della parola, che si scontra con la vecchia, ossia il potere costituito, che ancora ricorre alla forza bruta delle clave e rifiuta il linguaggio parlato. E’ quindi un rapporto di forza tra due classi, una emergente e l’altra al tramonto: Bog diventa una sorta di “Prometeo rivoluzionario”, latore della parola e pioniere di una nuova era.
Un’ulteriore allegoria si può ravvisare quando le piante medicinali con cui la sciamana cura Bog, vengono calpestate dalla tribù di Arkray: è una critica a qualunque forma di oscurantismo, sia a quello delle istituzioni nei confronti delle innovazioni e della scienza, sia a quello del potere costituito contro ogni forma di cambiamento. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, ciò appare evidente se si considera che l’era in cui è ambientato il film è il Paleolitico, quindi un’epoca caratterizzata dal nomadismo, in cui “esistere” equivale a “sopravvivere”, mentre le piante medicinali sono coltivate in un terreno, cosa che rimanda ad un’idea di stanziamento, che storicamente è posteriore. Insomma, in questa scelta è individuabile un attacco al tentativo del potere vigente di arrestare l’avanzata del nuovo, tentativo che, tuttavia, si rivela fallace nel momento in cui la donna viene cremata insieme alle sue erbe.
In ogni cambiamento, in ogni rivoluzione, è insito il rischio di regredire e Cavallone ce lo mostra nella battaglia finale: l’orso, essendo fallito il tentativo di ucciderlo con la fionda,  viene massacrato e decapitato con la clava, e così la dicotomia fionda/clava, prima marcata, tende a sfumarsi nel nulla. Ma questa uccisione segna anche un passaggio importante per la storia dell’umanità. Come rimarcato in apertura del film, l’orso è un antico simbolo religioso di quelle comunità, ucciderlo e marchiare un neonato col suo sangue apre la strada ad un nuovo modo di concepire la religione: si passa da una visione primitiva sciamanico-animista, legata a società non alfabetizzate e che ha il suo fulcro nel culto della forza della natura e dell’animale, all’adorazione di una figura antropomorfa, simbolo di una civiltà che conosce la parola. Tuttavia tale divinità, essendo simile all’uomo, è assetata allo stesso modo di sangue ed esige un sacrificio. E’ di una freddezza lapidaria il messaggio con cui il regista conclude il film: un countdown seguito dall’esplosione di una bomba rivela il nesso inscindibile e universale tra religione e guerra, ossia la morte.

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