LA NOTTE CHE EVELYN USCI' DALLA TOMBA (1971)

Regia/Director: Emilio Miraglia
Soggetto/Subject: Fabio Pittorru, Massimo Felisatti
Sceneggiatura/Screenplay: Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, Emilio Miraglia
Interpreti/Actors: Antonio De Teffé [Anthony Steffen], Marina Malfatti, Erika Blanc, Rod Murdock, Giacomo Rossi Stuart, Umberto Raho, Roberto Maldera, Joan C. Davies, Ettore Bevilacqua, Maria Teresa Tofano, Brizio Montinaro, Paola Natale
Fotografia/Photography: Gastone Di Giovanni
Musica/Music: Bruno Nicolai
Costumi/Costume Design: Lorenzo Baraldi
Scene/Scene Design: Lorenzo Baraldi
Montaggio/Editing: Romeo Ciatti
Suono/Sound: Fiorenzo Magli
Produzione/Production: Phoenix Cinematografica
Distribuzione/Distribution: Cineriz
censura: 58701 del 12-08-1971
Altri titoli: L'appel de la chair, Die Grotte der vergessenen Leichen

La notte che Evelyn uscì dalla tomba…veramente un titolo suggestivo per questo film, datato 1971 e lanciato al cinema tra scoppiettanti pop corn rosso sangue.
Dopo due film ‘americani’ di buona fattura con Henry Silva (Assassination; Quella carogna dell’Ispettore Sterling), e una rapina in Vaticano con Klaus Kinsky (A qualsiasi prezzo), il regista leccese Emilio Paolo Miraglia ricambia la cortesia nientemeno che a Horace Walpole, che in terra di Salento aveva ambientato due secoli prima il Castello di Otranto, e sposta l’azione in Inghilterra. Teatro degli intrighi, degli omicidi a luci rosse e a tinte fosche, delle apparizioni di fantasmi e di riesumazioni di salme è anche qui, per forza di cose, un castello, una tenebrosa tenuta di campagna come solo se ne trovano nelle lande d’Albione (e poco importa che si giri tutto in Veneto, a Palazzo Porto Corleoni).
Una dimora che si rispetti ha anche un degno tenutario: e se la dimora è malandata, cosa possiamo aspettarci dal suo proprietario? E infatti la psiche di Lord Alan Victor Cunningham, il nostro Anthony Steffen (Antonio De Teffe), risulta minata, offuscata, irrimediabilmente confusa dalla perdita della amata moglie Evelyn, passata a miglior vita nel tentativo di dargli un figlio. Senso di colpa e tormento (forse nel parco del castello accadde anche dell’altro) conducono dritti alla clinica psichiatrica dell’amico medico di famiglia (un impettito Giacomo Rossi Stuart), che, tra false promesse di guarigione e pacche sulle spalle, può fare veramente ben poco. Nè aiutano molto le sedute spiritiche organizzate dai parenti per metterlo in contatto con la moglie defunta perché, sul più bello, i nervi cedono e il nostro stramazza al suolo privo di sensi. Che fare? La prima soluzione, quella di disporre a suo piacimento, nel bene, ma soprattutto nel male, di dame rossocrinite dai dubbi costumi morali, rimorchiate a suon di sterline e condotte al castello a bordo della sua fiammante Lamborghini Jarama, non sembra la soluzione più efficace; soprattutto se nella immancabile stanza segreta, arredata ad uopo e corredata dagli arnesi adatti, s’introduce qualche impiccione di troppo pronto al bieco ricatto (il lord in realtà se la caverà spillando solo gli spiccioli). 
Cosa farà il nostro eroe a questo punto, ci chiediamo, e cosa sarà di lui? e qui il lord ci stupisce con il piano bis: ad un party, dove tutti si sbaciucchiano e dove ci sembra di scorgere anche qualche indizio, cinque minuti dopo aver fatto la piacevole conoscenza della bionda Gladys al ritmo di ‘mi sono fatto un’idea delle donne che ci sono qui: o sono troppo serie o lo sono troppo poco, lei invece mi sembra un misterioso e felice equilibrio’, eccolo lanciato in una funambolica proposta di matrimonio. Il dialogo è da antologia: ‘Le posso rivolgere una domanda?’ ‘Ma certo’ ‘Che cosa ne direbbe se le chiedessi di sposarmi?’ ‘Che lei è stato preso da un colpo di follia. Non capisco perché dovrebbe farlo?’ ‘Beh, è un po’ difficile da spiegare…forse perché mi piacerebbe venire a letto con te’ ‘ Oh, se sposassi tutti quelli che vogliono venire a letto con me sarei sempre in municipio!’. Tranquilli, il matrimonio a sorpresa si farà e la bella Gladys si prenderà amorevolmente cura del suo lord da tre milioni di sterline. Ma quanto durerà? 
Se siete arrivati fino a qui nella lettura, evito di addentrarmi ulteriormente nella trama che da questo momento in poi ingiallisce sempre di più con l’entrata in gioco di un misterioso e perverso assassino: serpenti velenosi, cadaveri dati in pasto alle volpi, champagne alla stricnina, colpi di scena a ripetizione. 
Molta carne al fuoco. Eppure, a conti fatti, il tentativo di Miraglia di coniugare l’horror e il gotico con il giallo e l’erotico, nonostante, va detto, la convincente prova degli attori, si rivela confusa quanto la mente del suo protagonista. La lezione di Bava (‘Il rosso segno della follia’ ma anche ‘La frusta e il corpo’) non è perfettamente recepita; l’idea di suggestionare lo spettatore con tematiche ultraterrene, destabilizzarlo con le forme di Erika Blanc – a proposito, strepitosa la sua uscita di sedere da un baule durante uno spettacolo - stordirlo con i decolleté e le vestaglie trasparenti di Marina Malfatti, per poi finirlo con sferzate alla Dario Argento, si rivela purtroppo un tentativo male assestato, in due parole malcerto e maldestro. 
Rimandato Miraglia, all’anno successivo - si rifarà con ‘La dama rossa uccide sette volte’ – non ci resta che segnalare le ottime musiche di Bruno Nicolai, davvero sublimi, e la fotografia avvolgente di Gastone di Giovanni, capace di infondere alla pellicola una luce molto british, nonostante le auto abbiano tutte il volante di guida posizionato a sinistra.

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